“Virus”, la poesia dell’emergenza nasce in Val Badia 

Intervista a Roberta Dapunt. La scrittrice dal suo maso guarda a quello che sta accadendo «Mi impressiona il vocabolario bellico con cui si affronta questo periodo di indubbia tragicità» L’elogio di Gaber: «Aveva una disposizione naturale a dire le cose per quello che sono» 


Daniela Mimmi


Bolzano. “... Ecco, noi non sappiamo la parola guerra e i medici non stanno al fronte, non esiste l’untore. Qui non si spara, perché il nemico, questo, non ha volto. Se lo avesse sarebbe il sorriso delle mie figlie, quello di mia madre...” Sono alcuni dei versi della poesia “Virus” che Roberta Dapunt ha scritto in questi giorni di forzato ritiro nella sua casa in Val Badia, un maso isolato nel quale però riesce a sentire il silenzio ancora più assordante che la circonda. Il maso in cui vive da tempo, nella valle che non ha mai lasciato, tra gli animali che a volte descrive anche nelle sue poesie. Considerata da molti una delle poetesse più grandi non solo in Italia, Dapunt ha scritto diverse raccolte di poesie, non solo in ladino, la sua lingua, ma anche in tedesco e in italiano, pubblicando per Einaudi. Con “Sincope” ha vinto il Premio Letterario Internazionale Viareggio Rèpaci 2018 per la Poesia. La abbiamo intervistata, partendo proprio dalla poesia Virus.

Quando ha pensato a una poesia come Virus?

Raramente mi succede di scrivere una poesia senza avere delle interruzioni, senza esitare, lasciando poi che il componimento sia quello scritto in poco tempo. In questo periodo però si presenta un’urgenza, e dunque anche letterariamente la necessità di una scrittura immediata. Virus, è una poesia che ho iniziato dopo l’ascolto di una trasmissione sull’epidemia. È impressionante il vocabolario bellico che si sta usando per raccontare l’indiscutibile tragicità di questo momento storico. Noi non siamo in guerra, e i medici non stanno al fronte. Si è alla ricerca dell’untore. Parole come combattere, trincea, armi, nemico, non realizziamo nemmeno più il loro vero significato, dimenticando, anzi lasciando ormai in una sospensione del ricordo chi è in guerra veramente.

Le poesie che scrive in questo periodo sono diverse da quelle che scriveva prima?

A parte l’urgenza di qualche riflessione che si concentra sull’hic et nunc, qui e ora, non è cambiato nulla nelle mie scritture.

Che cos’è la poesia per lei?

Non tanto la poesia, bensì il poetico. Possiamo chiederci cosa è poetico e cosa è impoetico. Cosa ha un valore poetico? Gli oggetti quotidiani e nostri, dice Caproni. Anche a me succede la necessità di una fisicità conosciuta per esprimermi in versi. Partendo dalla condizione umana, cioè dalla totalità dell’esperienza dell’essere umano. L’esistenza di me e di te, ma anche di noi insieme, che siamo capaci di osservare noi stessi e gli altri. È qui che inizia la lingua, dall’osservare, dal considerare con cura ciò che abbiamo di fronte. Rivolgere lo sguardo sulle cose e sulle persone al fine di conoscere meglio, rivelarne i particolari e infine formulare le considerazioni e i giudizi. La poesia deve raccontare questo, la sua lingua è per sua natura una lingua poetica. Il contrario sarà ciò in cui lei non si riconosce.

Ha dedicato una poesia a Giorgio Gaber. Cosa la lega a lui? L’autenticità di Gaber è stata una virtù. Aveva una disposizione naturale a dire le cose per quello che sono. Credo riuscisse a far sorridere anche il castigato. La poesia che ho scritto non è dedicata a Giorgio Gaber, è dedicata a Dio e a noi ed è una variazione sul suo singolo discografico “Io se fossi Dio”, uscito nel 1980, un’accusa violenta, nella quale Gaber non risparmia nessuno. Ha coraggio, eccede i limiti del doveroso rispetto, mi piace molto.

La poesia e la terra. L’intellettuale e la contadina. Come convivono?

Convivono molto bene. L’armonia sta nel peso dei valori che riusciamo a riconoscere dentro ai luoghi che abitiamo. Ammetto che la decisione anni fa, di rimanere nei miei luoghi di nascita e di viverci, è avvenuta nella consapevolezza di una forte lontananza da molti altri desideri. Questo maso, lontano dal carattere intellettuale che intende lei, mi ha portato ad una poesia molto fisica. In ogni verso la conoscenza concreta di esso. Diciamo che è una concretezza di corpo non facile. Nella vita ci sono delle condizioni che definiscono un accordo tra chi ci vive e il luogo che ospita, nel mio esempio sono la coerenza di una scelta di vita e il rigore di questa. Oggi considero la mia appartenenza a questo posto un privilegio.

La poesia implica sempre un atteggiamento attivo e di riflessione da parte del lettore. Può aiutarci ad alzarci o ci fa crollare. Quali poesie consiglierebbe oggi a chi deve stare in casa 24 ore su 24?

Consiglio la contemporaneità. Leggere la poesia scritta nel nostro tempo. Ma voglio aggiungere anche che leggere una poesia non è leggere l’articolo di un giornale, ascoltare una poesia non è ascoltare una notizia. La concentrazione che avviene tra poeta e lettore, o ascoltatore, è un’azione del radunare, del far convergere in un punto ristretto più persone o più elementi della stessa natura. Può risultare difficile e la difficoltà e però anche il punto di partenza, perché riguarda la sensibilità. Comprendere, sentire. Sono qualità che stentiamo a distinguere l’una dall’altra. Forse anche per questo tendiamo a leggere poesia scritta nella storia, che ormai ha passato ogni esame tra i secoli e i processi di valutazione e si presenta a noi senza possibilità di contestazione. Direi più che giusto, ma noi? Quanto ci vogliamo in questo nostro tempo?.

E lei cosa fa in casa 24 ore su 24 ore?

Faccio quello che facciamo tutti. Provo a fare di questo tempo la migliore esperienza possibile. La mia situazione quotidiana non ha problemi, penso invece a chi deve condividere pochi metri quadri e in una verità di convivenza difficile. È una realtà che non va mai dimenticata. Nell’insieme del pronome “noi” però, stiamo dimostrando una qualità che prima avremmo messo in forte dubbio, o perlomeno io. Questo isolamento collettivo è ciò che di più sociale ci può venire incontro.

La poesia può salvarci o venirci in aiuto in questo momento così confuso? In che modo?

Basta leggere la poesia scritta nei periodi di guerra, lì dove altri isolamenti sono successi. Si possono imparare i sentimenti e la coscienza di coloro che hanno subito e che sono morti o sopravvissuti. Ci hanno consegnato il loro dolore, le solitudini, i loro pianti scritti su strappi di carta e sui muri. Impariamo da queste testimonianze che la poesia può prendersi l’impegno di ultimo baluardo a difesa e sostegno di chi non sa altrimenti. La poesia ha la facoltà di dare il volume del sentimento nell’affermazione, il riverbero della coscienza nel racconto, senza i quali nessun cambiamento, nessun’epoca, così come nessuna guerra si sedimenterebbe nella memoria.















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