l'intervista

Sinner e il sogno di essere il numero uno: «Lavoro per arrivare più in alto possibile» 

Il campione altoatesino questa sera esordisce al Masters 1000 di Indian Wells: «Sono carico di fiducia dopo la vittoria a Montpellier e la finale con Medvedev a Rotterdam».


Aliosha Bona


BOLZANO. Diventare numero uno al mondo e vincere la Coppa Davis. Due sogni. Anzi, due obiettivi. Gli infortuni, qualche critica, l’uscita dalla top-10. Nulla di tutto ciò ha abbassato l’asticella di Jannik Sinner. Che rimane altissima. Lo era ai tempi di Riccardo Piatti, a sua volta mai timoroso nel sbilanciarsi sull’assicurato futuro del suo pupillo. Non può che esserlo anche oggi. E non si tratta di addossargli pressioni o responsabilità infondate. È lui il primo a crederci: «Mi impegno ogni giorno con quell’aspirazione lì in testa...la vetta del ranking. Ma passa tutto attraverso il mio lavoro quotidiano».

La vittoria a Montpellier, la finale persa con Medvedev a Rotterdam. Poi solo l’influenza l’ha “sconfitta” a Marsiglia.

Sì, sono piuttosto contento di queste settimane, in particolare per ciò che sono riuscito a dimostrare in Olanda. Dopo Montpellier ho avvertito di riuscire ad alzare ulteriormente il mio livello. E tutte queste vittorie mi hanno dato un grosso carico di fiducia.

A che punto è della sua crescita?

Posso migliorare e raggiungere livelli sempre più alti. Ammetto di aver giocato particolarmente bene durante i tornei indoor in Europa, sono contento del livello che sto esprimendo. Ora però bisogna continuare a spingere nei tornei statunitensi, a partire da Indian Wells.

È passato oltre un anno dal “matrimonio” con coach Simone Vagnozzi. È una collaborazione sana anche fuori dal campo?

Sicuramente, Simone mi piace molto. Ho la fortuna di avere un buon rapporto con lui, non solo legato al tennis. Ed è un aspetto fondamentale visto che passiamo mesi e mesi di fila assieme in giro per il mondo.

Arriviamo a Darren Cahill, ex allenatore di Hewitt, Agassi e Halep. È quel supporto internazionale che le mancava?

Ho un enorme rispetto per Darren perché ci propone idee nuove e intelligenti per la mia preparazione. È una grande gioia averlo con noi. Anche con lui il legame è forte, mi tranquillizza la sua presenza.

Su cosa state lavorando?

Mi concerto su tutti gli aspetti del mio gioco, sempre. Sto abbinando il gioco in campo al duro lavoro in palestra. Altrimenti giocare ogni settimana sul circuito sarebbe impossibile. Potrei dire un colpo su cui mi sto focalizzando più di altri, ma non è ciò che sto facendo realmente. Perché l’obiettivo è migliorare a 360 gradi. Come se fosse un puzzle.

E gli infortuni? L’anca, il ginocchio, la caviglia, la mano. Una decina di problemi l’hanno fermata più volte nel 2022. È qualcosa che la preoccupa?

Cerco sempre di pensare positivo. Il tennis è uno sport durissimo, che richiede tanto al tuo corpo. Sto spingendo molto con il mio team per essere il più preparato possibile e per il dare il massimo ad ogni appuntamento. Chiaramente non è facile. È capitato che mi infortunassi più volte nel 2022. Ma penso faccia parte del gioco. Ho imparato che è fondamentale conoscersi bene per evitare che certi problemi si ripetano.

Qui, tra i suoi monti, torna spesso?

Non vedo l’ora di tornare in Alto Adige e passare del tempo con la mia famiglia. È sempre speciale, ma allo stesso tempo complicato perché viaggio molto, il calendario è fitto. In montagna ho dei magnifici ricordi.

Gli amici d’infanzia fanno ancora parte della sua vita?

Sì, eccome. È bello sentire cosa fanno nella vita, che strade hanno preso...E quando posso andiamo anche a sciare, una passione che ho fin da piccolo (anche con ottimi risultati, ndr) e che tutt’oggi rimane viva.

Dalle piste di sci torniamo ai campi da tennis. La sconfitta tirata con Alcaraz agli Us Open 2022 e il recente ko agli Australian Open con Tsitsipas che retrogusto le lasciano? Rammarico o consapevolezza di essere sempre più vicino ai big?

Con entrambi ho giocato delle partite bellissime e ho imparato nuove lezioni, che mi serviranno in futuro. Ci vuole tempo e una buona dose di pazienza. Per essere come loro due serve un’attenzione minuziosa ai piccoli dettagli, ogni giorno, ogni volta che entro in campo.

Se le dico: «numero uno al mondo». Cosa mi risponde?

Che mi piacerebbe tanto arrivarci. È il sogno di ogni giocatore e la meta per cui mi impegno quotidianamente. Devo concentrarmi perché quello è il mio obiettivo. Poi vedremo cosa accadrà.

Oltre a lei, il tennis italiano vanta giocatori come Berrettini, Musetti, Sonego, il sempreverde Fognini. Un momento senza precedenti per quantità e qualità.

È stupendo vedere come tutti siano competitivi. Ci sproniamo l’uno con l’altro. Ed è un piacere rivederli quando giro il mondo. Il rapporto con Matteo e Lorenzo è qualcosa di speciale.

Seppi invece è uscito dalla cerchia. Si è ritirato lo scorso ottobre dopo una carriera fata di 66 partecipazioni Slam consecutive. Un esempio? Un mito?

Andy è sempre stato una grandissima ispirazione per me. Entrambi altoatesini, non potevo che ammirarlo quando ero piccolo. C’è un aspetto in particolare che mi ha insegnato: crederci sempre. Il fatto di poter raggiungere qualsiasi obiettivo se ci si mette d’impegno. Essere sul circuito insieme a lui, anche se per poco, è stata un’esperienza forte.

Un infortunio non le ha permesso di partecipare alle finali di Coppa Davis lo scorso novembre. Qualcuno ha storto il naso. Come se la maglia azzurra fosse passata in secondo piano.

L’ho già detto più volte: sono grato e onorato di giocare per il mio paese, indossare questa maglia è un sentimento unico. C’è tanta passione all’interno del team. E tutti danno il 110%. Alzare in cielo la Davis sarebbe un sogno.

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