La storia

L'artificiere che disinnescava le bombe della seconda guerra mondiale: "Ho 91 anni, se ne avessi venti di meno andrei in Ucraina a sminare"

Il racconto. Eduardo Corvo, 91 anni, è stato uno dei due artificieri chiamati a neutralizzare nel 1983 un ordigno bellico di 370 chili infilzato nella terra  davanti alla Stazione di Bolzano. «A mani nude e con un “taglia e strozza”». Gli anni duri del terrorismo. «Con 20 anni di meno andrei volontario in Ucraina»


Luca Fregona


Bolzano. Giovedì 19 maggio 1983, ore 7.30 del mattino. «Dannata bomba» mormora il tenente colonnello Dante Berardini. La bestia è lì nella buca, spunta dalla terra come una freccia: una picca dritta con la punta verso l’alto, quasi a guardare il cielo da dove è piombata tanto tempo fa. La spoletta sopra l’ogiva libera e pulita, quella sul fondello invisibile nel terriccio. Il corpo centrale mezzo all’aria e mezzo coperto. Un brutto affare. Un’incognita. Trecentosettanta chili di tritolo. «Trecentosettanta» ripete mentalmente Berardini. È stata quarant’anni in letargo, la bestia. L’hanno svegliata gli operai del Comune durante i lavori di scavo alla Fontana delle rane in piazza Stazione. Proprio sotto la quercia. Berardini dà un’occhiata nervosa alla prima pagina dell’Alto Adige. Titolo: “IL CENTRO CITTÀ NELLE MANI DI DUE ARTIFICIERI”. «Dannati scribacchini - ringhia -. I miei artificieri sono i migliori». Saluta Corvo e Florio con due dita alla fronte e si allontana dalla fossa.

Eduardo Corvo detto "Franco" squadra la bestia di traverso. Ha 51 anni, da venti è nell’antiterrorismo a smontare ordigni di ogni tipo su treni, tralicci, nelle malghe. Lo ha voluto con sé il maggiore Aristide Florio, 54 anni, capo del magazzino di artiglieria e difesa chimica, detto “Mani di velluto e nervi d’acciaio”: cento bombe d’aereo rese inoffensive annotate sul libretto militare. «Franco - aveva detto a Corvo tre giorni prima- dobbiamo metterla a cuccia come un cagnolino. Una così non me la sono mai trovata davanti. Mi serve gente con le palle. Mi servi tu».

La bestia è alta un metro e venti, ha centoquindici centimetri di diametro. Contiene una miscela letale di tritolo e amatolo. Una bomba più potente delle “solite” cadute durante la guerra, inventata dagli americani alla fine del ’44 per colpire ancora più duro. Lanciata da ottomila metri d’altezza su Bolzano nell’ultimo scorcio del conflitto in Europa. I B-17 puntavano la stazione, ponte Loreto e la ferrovia del Brennero. Centinaia di confetti, centinaia di morti. «Florio - racconta oggi Eduardo Corvo, che di anni ne ha ormai 91 portati splendidamente - era un esperto di residuati bellici. Quello che per lui era il numero cento, per me il primo in assoluto. Avevo messo le mani su decine di bombe, mai però su una d’aereo. Era una specie di gigantesco sigaro marrone scuro in grado di radere al suolo mezzo centro storico».

Il rinvenimento del maggio 1983 blocca la città per una settimana da piazza Verdi alla funivia del Renon. Svuotato l’hotel Laurin, evacuate le case nel raggio di 500 metri, deserti gli uffici, sospesa la circolazione dei treni, chiusa l’autostrada. Centoventi uomini tra carabinieri, vigili urbani e polizia per isolare l’area. «La città sembrava morta, apocalittica come in quel film con Charlton Heston, Io sono leggenda ».

Un elmetto in testa

L’operazione inizia alle 7.40 .

«Io e Florio Ci siamo resi conto subito che non era una bomba “normale”. Intanto la posizione: a testa in su. Nella caduta doveva aver perso le alette che servivano a tenerla dritta. Ha girato su se stessa e poi, chissà come, si è ficcata nella terra con la testa verso l’alto». Fu una fortuna che gli operai la videro prima di urtarla con l’escavatore: li avrebbe polverizzati. «Aveva due spolette: quella sulla punta scoppiava a percussione con l’urto. Quella dietro per concussione. Il rischio era alto. Era danneggiata. Un movimento sbagliato e addio».

Niente muri giganteschi di sabbia a protezione portati dal Genio. Niente tute e caschi hi-tech anti schegge. Niente computer e rilevatori digitali. «Mani nude, la chiave inglese a giorotubo, e la pinza “taglia-e-strozza” per tagliare la miccia e strozzare la capsula che fa da innesco al tritolo». E un elmetto in testa su preciso ordine di Florio. «A Florio gli dico: “E che me ne faccio? Se saltiamo, saltiamo. Andiamo direttamente in paradiso”. Lui mi guarda come fossi un pazzo. “Eduardo - mi fa fissandomi serio -: se saltiamo, almeno trovano la testa e capiscono chi sono io, e chi sei tu. O vuoi che i tuoi non sappiano chi c’è nella tomba?». Eduardo Corvo fa gli scongiuri, lo manda a quel paese, ma il casco se lo infila. Si conoscono da una vita, Florio ha ragione. Qualcuno ha messo una bottiglia di spumante a due passi dalla buca. Corvo fa finta di non vederla. “Porta male”. Corvo è nato a Caserta, figlio di un carabiniere reale sopravvissuto a due guerre mondiali. Lui è entrato nell’esercito a 19 anni nel 1952. Artificiere da subito. Ha gli occhi grigi e la pelle cotta dal sole degli uomini del sud, è un uomo razionale ma sa che il destino non va sfidato.

Ore 9.12, via alle danze

Corvo e Florio ispezionano la bestia millimetro per millimetro. Scavano intorno alla parte interrata. «Delicatamente la adagiamo a terra in orizzontale come un bimbo nella culla». Florio spruzza antiacido per ammorbidire e ripulire le spolette. «Un silenzio assoluto. Non si muoveva una mosca». Florio comincia a lavorare sulla prima spoletta, quella sulla punta, la più pericolosa perché esplode all’urto. Corvo si mette a cavalcioni della bestia, la tiene ferma con le ginocchia e il peso del corpo: 370 chili di tritolo sotto il sedere. Ogni vibrazione va evitata. «A che pensavo? A niente, solo a lei, alla bomba. Non pensavo a mia moglie. Non pensavo ai miei tre figli che erano ancora dei ragazzini. Li cacciavo via dalla testa: in questo mestiere la cosa più pericolosa è la paura stupida. La paura è di due tipi: quella che ti uccide e quella che ti salva. La devi rispettare senza farti dominare. Se fai un errore, sei fottuto. Devi stare concentrato».

“Mani di velluto” Florio prova e riprova, la spoletta resiste. Passano i secondi. «Aristide alla fine ce la fa». Poggia a terra la spoletta.

Florio dice: «Portala via, io penso a quella dietro».

Corvo prende l’involucro di metallo che contiene tre etti di esplosivo ad altissimo potenziale, le mani ferme a tenaglia, sale su un pulmino dell’Esercito. Una gazzella dei carabinieri apre la strada, una pantera della polizia chiude il piccolo corteo a sirene spiegate. Evitano buche e dossi. «L’abbiamo fatta saltare con una carica alla confluenza con il Talvera, al riparo di un muro di sacchi di cemento». Florio intanto è al lavoro sulla spoletta agganciata al fondello. La più faticosa da togliere. È a tempo. Una volta smontata, ha 35 minuti per farla brillare lontano da qui, nel greto dell’Isarco, prima che esploda. Hanno calcolato di riuscire a farlo in cinque. La cosa si complica: invece di venire via intera, si spezza in due, con il “cervelletto” che resta dentro.

“Nervi d’acciaio” Florio smadonna con la chaive inglese ma, con calma, riesce a sganciare anche il secondo pezzo. Alle 9.41 sale su una gazzella: in centottanta secondi raggiunge il fiume, e la fa saltare. Ci ha messo due minuti in meno del previsto. Lui e Corvo tornano in piazza Stazione davanti al sarcofago della bestia. Arrivano fotografi e giornalisti. Eduardo si mette in posa a cavalcioni. Florio si mette in posa con la “taglia-e-strozza”. La bestia è domata. Non fa più paura. Senza spolette, non esplode. Ormai docile, viene sollevata da un gru, caricata su un camion e portata a Ora per sciogliere il tritolo all’interno con vapore a 130 gradi. Il comandante Berardini afferra la bottiglia di spumante sull’orlo della buca. Stappa e versa in bicchieri di plastica. I fotografi scattano.

Corvo si rilassa: «È andata»

I giornali impazziscono. «LA PAURA È FINITA: 29 MINUTI DI BRIVIDO E LA BOMBA È INERTE», titola l’Alto Adige. È il primo disinnesco seguito quasi in diretta dalle nuove tv private, dal Tg Rai regionale che poi gira il servizio alla rete nazionale. Corvo e Florio finiscono sugli schermi e sui quotidiani di mezza Italia. Un mese dopo vengono premiati dal commissariato del governo. «Una specie di riconoscimento anche per quello che avevo fatto prima - dice oggi -. Per quella dannata bomba avevo rischiato la vita. Ma non era niente rispetto ai tanti interventi fatti prima, negli anni bui». Gli anni del terrorismo sudtirolese, poi di quello nero e di quello rosso. «Polizia e carabinieri non avevano squadre di artificieri. Ogni volta che c’era un problema, chiamavano noi».

Filo nero o filo rosso?

Corvo era stato trasferito a Bolzano nel 1955 nelle unità che dovevano proteggere gli obiettivi dei dinamitardi. Caserme, depositi di munizioni, posti di polizia, stazioni dei carabinieri, il tribunale, i palazzi dello Stato.

«Noi artificieri eravamo operativi h24. Quando saltava un traliccio, ci spedivano a bonificare la zona e neutralizzare gli ordigni inesplosi. I terroristi sudtirolesi erano molti furbi. Creavano dei congegni elementari ma efficaci. A volte rimanevamo stupiti dalla loro capacità. Nelle baite mettevano delle listelle al mercurio sotto i giacigli che si auto innescavano al minimo movimento. Seminavano trappole esplosive dappertutto, sui sentieri, nelle malghe, vicino ai tralicci appena fatti saltare. Così hanno ammazzato i finanzieri a Cima Vallona».

Di fronte a ordigni del genere ci vuole un occhio esperto.

«Ma a volte non bastava neanche quello. Mi è capitato di rischiare con il classico o la va o la spacca». Notte, deposito di munizioni di Riva di Sotto. La guardia durante il giro si accorge che il traliccio a monte è stato minato in alto, a otto metri da terra. Dio solo sa come hanno fatto senza farsi vedere.

Chiamano Corvo. «Salgo in alto, arrivo alla bomba. Cristo!, era una di quelle bastarde, artigianali: due fili, uno rosso e uno nero, collegati all’esplosivo e a un orologio che all’ora X avrebbe fatto scattare l’innesco. Mancavano pochi minuti. Se esplodeva, oltre al sottoscritto, saltava in aria anche il deposito. Un disastro». Corvo, sempre a mani nude, divarica il “taglia -e-strozza”. E ora? Il rosso o nero? «Faccio il calcolo delle probabilità. Rosso o nero? Nero! Trancio. Sono ancora qui a raccontarlo».

Andrei in Ucraina

Una cosa ci tiene a dire l'artificiere Eduardo Corvo: «Ho 91 anni, ma se solo ne avessi venti di meno, sarei già partito volontario per l’Ucraina a sminare e dare una mano: un popolo aggredito va sempre aiutato».













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