Il caso

Pizzeria “Toto Riina”, a Vienna interviene L’ambasciata

I proprietari hanno rimosso l'insegna dedicata al "Capo dei Capi"



L’intervento dell’Ambasciata d’Italia a Vienna è stato risolutivo: i proprietari del locale hanno rimosso l’insegna principale della pizzeria in Thaliastrasse che sin dal momento dell’inaugurazione, in giugno, aveva suscitato lo sdegno della comunità italiana nella capitale austriaca.

Sull’insegna appesa sull’edificio nel sedicesimo distretto c’era infatti scritto “Toto Riina” (senza l’accento sulla o, ma si sa, non si può pretendere che all’estero che venga prestata attenzione a questi dettagli) seguito da” pizza, pasta, burger & more”. Insomma, un ristorante con servizio al tavolo e da asporto, dedicato al boss del Clan dei Corleonesi e "Capo dei capi" di Cosa Nostra. La deplorevole idea ha turbato profondamente la comunità italiana che vive nella capitale austriaca, che ha inondato i social di commenti disgustati, oltre ad aver contattato l’Ambasciata d’Italia chiedendo che venisse fatto qualcosa per far rimuovere quell’insegna.

La nostra sede diplomatica si è mossa tempestivamente “scrivendo al Ministero austriaco degli Affari Esteri -come spiega il vice capo missione Gabriele De Stefano – per evidenziare l’incresciosa situazione, oltre che il fatto che qualsiasi apologia della mafia è da condannare e che proprio la cattura di Totò Riina ha segnato una svolta nella lotta alla criminalità organizzata”. Le autorità austriache sono poi intervenute sulla proprietà, che non è di italiani. Basta dare un’occhiata al menu per capire che dietro alle improbabili proposte di pizze, pasta, insalate e burger, non c’è però una mente gastronomica del nostro Paese, benché il logo sia impresso sul tricolore.

La proprietà infatti è romena, come si evince dal sito internet della pizzeria che in un paragrafo in questa lingua cerca di sedurre i potenziali clienti affermando: “La nostra pizzeria a Vienna vi vizierà con una vasta gamma di pizze. Qui potrete ordinare le varianti più famose, dalla classica Pizza Margherita alla Pizza Salame e alla Pizza Quattro Formaggi. Non siete ancora convinti? Allora che ne dite di una Pizza Quatro Stagione, Totoriina o Margherita? Naturalmente, offriamo anche la popolare Pizza Capricciosa”. Va da sé che gli errori ortografici sono compresi nell’offerta.

Come ben puntualizza Bruno Ciccaglione, gastronomo di Viterbo che da quindici anni vive nella capitale austriaca, dove organizza anche un festival di letteratura italiana, quella del nome dedicato al boss mafioso “si tratta di una scelta fatta in modo inconsapevole, all’estero non capita di rado che chi fa pizze adotti nomi di questo tipo per l’insegna, è un modo per far credere di essere italiani ricorrendo a uno dei tipici cliché”.

In Austria, e a Vienna in particolare, il ricorrere a nomi che ricordano la mafia per le insegne di ristoranti e negozi non è cosa nuova. In Reindorfgasse da anni ci si può sedere a un tavolo della Pizzeria Mafiosi, locale di culto per i prezzi particolarmente contenuti di proprietà di Ghassan Al Omari, con la pizza Al Capone (pomodoro, prosciutto, salame cipolle e mais) sulla carta; per taglio e piega si può andare in uno dei tre negozi della catena di parrucchieri Haar Mafia, letteralmente capelli mafia. Cosa c’entrino i capelli con la criminalità organizzata non si sa, ma il nome è quello. E nella metropoli austriaca è ancora vivo il ricordo della campagna di lancio della panineria Don Panino, che una decina di anni fa con una tanto squallida quanto macabra trovata di marketing partorita da un pubblicitario olandese proponeva panini con i nomi delle vittime di Cosa Nostra, da Don Falcone al Don Peppino. Come rivelò allora Andrea D’Addio in un articolo su Panorama che contribuì a far finire lì la cosa, l’ironia di pessimo gusto arrivava alla composizione degli ingredienti dei panini raccontata sul menu: quello “dedicato” a Peppino Impastato parlava di “siciliano dalla bocca larga che fu cotto da una bomba come un pollo sul barbecue”. Il Don Falcone (tutte i nomi erano preceduti da “don”), veniva descritto come “grigliato come una salsiccia”. 

La foto, da Facebook è di Bruno Ciccaglione













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