LA STORIA

Ubaldo Natale,  il partigiano che voleva solo «pace e lavoro» 

Storie dimenticate. Nato in Abruzzo arrivò a Bolzano nel 1954. Durante la guerra era nella Brigata Maiella, che con gli inglesi liberò il nord fino ad Asiago. La sua storia in un libro presentato al Senato della Repubblica


Luca Fregona


BOLZANO. Marina Natale tiene il libro stretto al cuore, seduta sul sofà della sua casa in via Genova, circondata dai figli Stefano e Mariella. Lì dentro, tra quelle pagine, c’è la storia per decenni mai raccontata di suo marito Ubaldo, partigiano, non ancora ventenne, della Brigata Maiella. Una brigata formata da giovani abruzzesi, in gran parte contadini. La prima a liberare Bologna, e poi su, ancora, fino all’altipiano di Asiago. Il libro, “La Brigata Maiella” di Marco Patricelli (Rusconi Editore), uscito di recente, è stato presentato pochi giorni fa al Senato della Repubblica in occasione del 25 aprile. Si trattava di un’unità in uniforme britannica, con il profilo della Maiella sul braccio, e il tricolore sul bavero.

Gente pratica, allergica alle ideologie e ai diktat dei partiti; e per questa indipendenza, per non essere “etichettabile”, dimenticata nel dopoguerra. Partigiani senza gloria, nonostante avessero cacciato i nazisti da mezza Italia partendo dall’Abruzzo. Dopo l’8 settembre, la brigata ottenne infatti subito la fiducia degli inglesi che videro in quei giovani abruzzesi la voglia di riscatto dell’Italia “sana”, che voleva liberarsi del fascismo e dei tedeschi. Tra loro anche Ubaldo Natale, che arrivò a Bolzano a guerra finita, nel 1954, dopo un’esperienza da minatore in Francia, e qui trovò lavoro come operaio edile. La moglie Marina sapeva del suo passato partigiano, ma ai figli, Ubaldo, non disse mai nulla fino a quando, nel 2005, 60 anni dopo la Liberazione, la sua foto col mitra in mano finì sulla copertina di un libro storico sulla «Maiella», pubblicato dalla Utet. Il figlio Stefano glielo mise sotto il naso. Ubaldo si assentò qualche secondo e tornò con alcune vecchie foto in bianco nero: lui in uniforme con l’inseparabile mitragliatrice browning sulle spalle. Lui con i compagni. Raccontò tutta la storia alla famiglia, poi al nostro giornale. Morì nel 2008, a 84 anni. Ora quella storia è citata più volte nel libro di Patricelli. Un riconoscimento che rende onore a un uomo mite e onesto, croce al merito della Resistenza, che non ha mai usato la sua “carriera” di partigiano per trarre alcun tipo di vantaggio. Un “partigiano senza gloria”, appunto, che si è spaccato la schiena nei cantieri per tutta la vita, convinto di aver fatto solo il suo dovere. Una di quelle che storie che fanno bella l’Italia, e andrebbero raccontate ogni 25 aprile.

Antifascisti d’istinto

Mani callose. Spalle larghe. Cuore generoso, Ubaldo raccontava senza enfasi. «Mi ricordo benissimo quando è stata scattata quella foto col mitra. Eravamo a Belforte, vicino a Macerata...». I partigiani atipici della «Maiella». Anti-eroi. Antifascisti d'istinto. Portavano divise inglesi senza stellette regie. «Ci siamo rifiutati di giurare ai Savoia. Solo le mostrine tricolori e l'immagine della Maiella sul braccio sinistro. La montagna sotto la neve. La “nostra” montagna». Una brigata di contadini, che rispondeva agli inglesi della Ottava Armata. In prima linea dal dicembre del 1943 all’aprile del ’45. E che con gli inglesi è salita a nord, fino ad Asiago, liberando le Marche, Bologna, e il Veneto. Figli di una terra povera. Gente scolpita nella pietra, che dopo la liberazione non ha “capitalizzato” la Resistenza, non ha sfruttato la gloria, ma è partita per l’emigrazione. «Perché sono andato coi partigiani? Per cacciare i tedeschi dai nostri paesi. Avevano ucciso, violentato, raso al suolo le case. Un motivo più che sufficiente per combattere, no? Abbiamo preso il mitra e non ci siamo più fermati. Nessuno di noi è scappato. Nessun disertore nella Maiella...». Ubaldo Natale è entrato nella brigata ai primi di gennaio del 1944. «L’8 settembre ero militare in Friuli. Sono tornato in Abruzzo a piedi. Mi sono presentato al comando della “Maiella”. Mi hanno dato una divisa invernale e il browning». Lo fanno subito caposquadra. «Avevo il grado di sergente. Eravamo una banda di ragazzi. Tutti classe '24 e '25. Tutti di Taranta Peligna, il mio paese. Ci chiamavano “i briganti della libertà”».

Abbiamo liberato la nostra terra casa per casa

«Il primo giorno da partigiano mi hanno mandato in ronda esplorativa con due inglesi. Dovevamo guardare i movimenti nell’altra parte della vallata, in mano ai tedeschi. Era notte. Ci muovevamo in mezzo alla neve. Avevo paura. Non ero pratico a sparare. Ho pregato perché i tedeschi non ci vedessero. Eravamo vicini. Vicinissimi. Li sentivo respirare. Li sfioravo. Li annusavo. Ci nascondevamo nel bosco, nelle buche, nei cespugli. Siamo rientrati al reparto alle 5 di mattina. Neanche il tempo di riferire cosa avevamo visto, che siamo dovuti tornare indietro. Questa volta a sparargli sul serio». Silenzio. «Andava sempre così. Gli inglesi ci mandavano avanti a vedere dove stavano i nazisti. Poi dovevamo ritornarci coi polacchi e gli indiani, a sparare. Conoscevo ogni palmo del bosco, ogni sentiero, ogni albero, ogni pozza d'acqua. Abbiamo liberato la nostra valle casa per casa. L’abbiamo liberata noi abruzzesi». Ancora silenzio. «Ho perso tanti amici. Quando un compagno moriva, non guardavo. Tiravo avanti. La morte così vicina ti fa impazzire». I partigiani della Brigata Maiella avevano l’ordine di non uccidere i tedeschi catturati. Li consegnavano agli inglesi. «La “Maiella” non ha mai giustiziato nessuno. Niente processi sommari. Il nostro comandante era Domenico Troilo, aveva 22 anni. I tedeschi, per rappresaglia, gli avevano ammazzato la madre con una mitragliata in faccia e poi minato la casa. Avrebbe potuto vendicarsi centinaia di volte, ma non lo ha fatto. Né ha permesso che lo facessimo noi al posto suo». Pausa. «Una volta ero di pattuglia. Ho visto due tedeschi che facevano il bagno nell’Aventino assieme a due ragazze nostre. Li avevo tutti nel mirino, ma non ho avuto la forza di sparare. Sono tornato indietro e ho detto che non avevo visto niente...».

I primi a entrare a Bologna

Liberato l’Abruzzo, alla “Maiella” viene ordinato di andare avanti, di spingere verso Nord. «Io facevo parte della terza compagnia. Siamo arrivati ad Asiago prima di tutti. Quando abbiamo liberato Sulmona ai balconi c’erano le bandiere americane. Aspettavano gli americani, e invece è arrivata la Maiella. Ci siamo fatti delle grandi risate. I ricordi più belli sono quando liberavamo i paesi. La gente scendeva in strada. Si ballava. Le ragazze ci guardavano da eroi. Ci davano da mangiare, ci indicavano le strade, ci dicevano dove stavano i tedeschi. In Abruzzo le donne sono state fondamentali. Ci aiutavano nella lotta partigiana». Negli ultimi mesi di guerra la brigata raggiunge i 1.500 effettivi. «Si arruolavano anche tanti ex-repubblichini. Ma noi non ci fidavamo. Non li facevamo combattere, non gli davamo i fucili. Li mettevamo di corvè cucina. Era un ordine di Trolio. “A quelli fategli pelare le patate”. Il 21 aprile del 1945 siamo entrati a Bologna per primi. Noi e i polacchi. Nessuno sparava più. La guerra era finita». Poche settimane dopo, Ubaldo Natale torna a casa, in Abruzzo. «La brigata è stata sciolta. Ci siamo riuniti per l'ultima volta, poi ognuno di noi è partito in cerca di lavoro. Io in Francia, in miniera. Gli altri in Australia o in America. Sono orgoglioso di quello che ho fatto. Ho combattuto per un Italia migliore. Lavoro e pace, sono i valori che contano. Due cose bellissime. Le uniche importanti».

 













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