IL LUTTO

Addio a Giovanardi, portò a Bolzano la grande architettura 

Morto a 83 anni. Figlio di una coppia mista - padre nobile napoletano e madre imprenditrice gardenese - progettò numerosi edifici bolzanini



Bolzano. Una vita a inseguire il suo sogno fattosi realtà: costruire case capaci di entrare nella natura e con la natura anch'essa in grado di penetrarvi. È l'idea di una architettura pienamente organica quella che ha accompagnato fino alla fine Enrico Giovanardi. Progettista di innumerevoli edifici bolzanini, autore di studi e ricerche, protagonista di incontri memorabili, da Alvar Aalto a Carlo Scarpa, se ne è andato a 83 anni. "Dopo una vita piena " dice commosso Augusto Visintini, architetto anch'egli, impegnato in questi mesi nel grande progetto di Druso ovest. "Uno zio, per parte di mamma, dal quale ho imparato gran parte di quello che so. Un maestro". Nato a Bolzano da genitori che ne hanno, per carattere, formato la mente e indotto il desiderio di viaggiare e di aprirsi al mondo. Il papà di Enrico Giovanardi era un nobile napoletano. Talmente avventuroso da mettersi a scalare montagne impossibili nelle Dolomiti.

Così un giorno, mentre era all'attacco del Sassolungo, fu protagonista di una rovinosa caduta; nessun ospedale nei pressi, solo una casa.

Lì, curato e accudito, conobbe la figlia dei proprietari. E lei si innamorò perdutamente di quel giovane napoletano, fino a sposarlo: lei era una Prinoth, a capo della prima industria produttrice di giocattoli di legno della val Gardena, la Insam-Prinoth .

I due, col papà che divenne giudice a Bolzano, presero casa in città e qui nacque Enrico. Il quale, compiuti gli studi di architettura a Roma, iniziò subito a lavorare. Mise in piedi uno studio di architettura e il suo primo incarico progettuale fu la costruzione dei capannoni Durst a Bressanone. L'aria di famiglia, soprattutto il rapporto con la mamma, sudtirolese e industriale, gli consentirono di integrarsi nel tessuto culturale e sociale altoatesino. Innumerevoli i suoi progetti, con incarichi che gli giungevano dalle più importanti imprese immobiliari, da Tosolini a Oberrauch a Dalle Nogare. Giovanardi riuscì sempre a coniugare la praticità e funzionalità dei suoi progetti con le idee guida della sua formazione culturale e professionale.

L'uso e lo sfruttamento della luce, ad esempio, la capacità di farla penetrare nei suoi edifici ponendoli direttamente in connessione con lo spazio esterno e dunque con la natura circostante, sia direttamente, sia provando a collegarli con il paesaggio. "Altra sua lezione - ricorda ancora il nipote, Augusto Visintini - fu l'idea di un collegamento costante tra architettura e arredamento". Tra progetto di esterni, strutturale, e di interni, legato agli spazi abitativi. E poi la passione per i viaggi e per i rapporti con l'architettura internazionale. Decisivi i suoi incontri con i progettisti più innovativi, con coloro che stavano dischiudendo i nuovi orizzonti dell'estetica. Attraverso le conoscenze dirette, ad esempio, con Alvar Aalto e, più di recente, con Carlo Scarpa, Enrico Giovanardi è stato in grado di portare il respiro dell'architettura internazionale a Bolzano e a riversarlo nei suoi progetti. Riuscendo comunque a far dialogare questi impulsi esterni con l'anima del suo territorio, fatta anche di meticciati e di incroci di culture. Lui, figlio di una coppia davvero mista, padre nobile napoletano e mamma imprenditrice gardenese, capitana d'industria. P.CA.















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