Alto Adige: il gioco è cambiato

di Sergio Baraldi


Sergio Baraldi


Nelle ultime settimane i fatti politici di maggior rilievo sembrano convergere su un punto: la difficoltà dell’Alto Adige a fronteggiare il cambiamento e adattarsi alle trasformazioni in atto in Europa e nel mondo. Nella comunità di lingua italiana è esplosa la crisi del Pdl con la nascita di una lista, “Forza nazionale”, guidata dalla deputata Biancofiore, che potrebbe uscire dal Pdl per collegarsi a esso dall’esterno. Di Michele, in un bell’articolo che pubblichiamo oggi, analizza la questione. Ma un elemento vale la pena mettere in rilievo: la crisi del Pdl locale è strettamente connessa a quella nazionale.

Nel momento in cui Berlusconi, dopo la sconfitta elettorale, si ritrova privo di una visione convincente, di una strategia efficace, di una politica persuasiva, cioè quando la sua idea dell’Italia dimostra di non funzionare, il leader e il suo movimento entrano in crisi. Sul piano locale, sembra accadere la stessa cosa. Dopo avere per anni impostato la propria strategia sull’opposizione spesso pregiudiziale alla Svp, il centrodestra altoatesino ha rovesciato al sua posizione in una sorta di appiattimento, che sembra altrettanto privo di sbocchi della politica precedente. Le convulsioni alle quali assistiamo, qui come a Roma, sembrano quelle di una forza politica che sembra avere perso la prospettiva e di un ceto politico in cerca di una collocazione per sopravvivere al declino del leader. Una crisi emerge anche nel mondo tedesco e a rivelarla sono proprio i massimi esponenti della Svp: Durnwalder e Theiner.

In pochi giorni, abbiamo visto i sindaci della bassa atesina far sentire pubblicamente il proprio dissenso sulla decisione di Durnwalder sul poligono. Durnwalder ha cercato di abbozzare la ricerca di un compromesso, ma i sindaci hanno replicato di non credere molto alle sue intenzioni. A Bolzano i docenti e le famiglie di una scuola media tedesca si oppongono al trasferimento in un altro edificio da costruire; il vicesindaco della Svp li ha incontrati, ha tentato di convincerli, il risultato è un no ribadito. Docenti e famiglie tedeschi si sono rivolti al giornale di lingua italiana, che fin dall’inizio aveva dato spazio al problema, per vedere riconosciute e sostenute pubblicamente le proprie ragioni. Infine, la deputata Thaler ha rilanciato la questione dei cambiamenti che saranno imposti dalla gestione di risorse limitate e da nuove regole. Il mondo economico e civile tedesco ha risposto con interesse, ma la Svp ha taciuto. Nello stesso tempo, si comincia a capire che la destra radicale tedesca può intercettare più consensi del previsto, incalza la Svp nelle sue valli, un tempo zona di caccia elettorale protetta. Il rischio che alle prossime provinciali la Svp scenda sotto il livello di guardia del 50% dei voti non sembra un’ipotesi giornalistica.

La Svp soffre del medesimo male del centrodestra, che sfiora in modo diverso anche il centrosinistra: non riesce ad avere un’idea convincente del bene comune che unisca il proprio mondo e anche l’altro. Resiste, è vero, una disciplina della rappresentanza tipica dei cittadini sudtirolesi. Ma per la società tedesca la differenziazione è cominciata. Siamo all’inizio di un processo che non sappiamo dove sfocerà. Per ora possiamo affermare che, secondo la predizione di Rawls, viene meno l’autorità superiore della politica, si afferma con maggiore difficoltà un’interpretazione della realtà che permetta di ordinare preferenze, interessi, valori dei cittadini. Durnwalder può imporre la gerarchia istituzionale, ma non ha il monopolio della “cosa giusta” da fare o della “versione” in cui credere.

Theiner, un segretario e un assessore senza visione, questo monopolio non l’ha mai avuto. Entrambi non riescono a pensare un futuro diverso dal “loro” passato. Invece, il gioco è cambiato. Più velocemente per gli italiani, più lentamente per i tedeschi, ma è cambiato. E che cosa lo sta cambiando? Il fatto che i rigidi confini etnici si stiano allentando, che la società civile senta meno la “controparte” italiana o tedesca come un rischio che condiziona al punto da mettere a tacere dissensi o bisogni. In modi diversi, la società (sia quella italiana sia quella tedesca) coglie il vincolo della chiusura e chiede di essere valorizzata come attore pubblico, cerca un luogo di partecipazione politica. La mobilitazione dello scontento ha come obiettivo quello di essere compresi nelle decisioni, e persino di modificarle. La scuola, da questo punto di vista, si conferma il luogo in cui si sperimenta un inedito ampliamento della democrazia locale. La scuola italiana vuol vincere la battaglia del plurilinguismo e, in questo caso, la politica l’ha ascoltata e assecondata.

La scuola tedesca comincia a far sentire la propria voce senza l’assillo di infrangere la parola d’ordine del gruppo linguistico. L’economia, sia con le imprese sia con i sindacati, questo processo l’ha accelerato. Con tutti i limiti che possono esserci in queste esperienze, la nostra società, quella tedesca e quella italiana, sta apprendendo collettivamente come costruire il consenso, spinge la politica a escogitare soluzioni che erano state scartate o non considerate in partenza o a rivalutare quelle accantonate. Guardate la discussione sul centro storico: per la prima volta, non è criticata l’apertura dei negozi o l’adesione a un’iniziativa del Comune, è sotto processo la mancanza di un progetto chiaro, condiviso, e di una regia efficiente che non trasformi una buona intenzione in un casino. Questa pressione mostra l’inadeguatezza della rappresentanza tradizionale: comitati di ogni tipo bussano alla porta. I cittadini italiani e tedeschi possono essere portatori d’interessi e valori diversi, magari anche in conflitto, ma il fatto che confluiscano in un dibattito pubblico significa che sono portati a riconoscere l’esistenza delle opinioni contrarie e ad ammetterne la legittimità.

E’ questo pluralismo e la sua risonanza pubblica che libera energie, le quali unite alle trasformazioni esterne mettono alla prova l’autosufficienza del modello altoatesino. Questo accade al piano basso della società: tra la gente, sulle colonne del nostro giornale, punto di riferimento degli “interessati”, qualunque lingua parlino. Ai piani alti, quello istituzionale e politico, si avverte che il clima muta, si capisce che le cose sono in movimento. Ma rispondono tentando la “presidenzializzazione” della politica. Vale a dire: la decisione senza i cittadini o le loro rappresentanze istituzionalizzate o no. La virtù della mediazione con i “governati” è poco praticata. Di fatto è un metodo di semplificazione contro la complessità sfuggente. E’ l’idea di Durnwalder che, facendo sempre più fatica a governare argomentando e negoziando con una società frammentata parla con il decreto di giunta e punta il dito contro il giornale che dà voce al piano basso.

E’ l’idea di Theiner, una brava persona che non comprende che “convivenza” non significa dare ragione a lui, e che si trova in imbarazzo di fronte alla comunità che si disputa gli spazi di partecipazione (compresi i suoi medici e infermieri). I cittadini sono sempre meno remissivi, chiedono conto di come sono usati il potere e le risorse che hanno delegato. La gente non vuole contare solo il giorno delle elezioni, ma ogni giorno. La politica non riesce a dare una prospettiva unificante alle diverse concezioni del bene comune che si contendono il campo. E si condanna a una tattica cieca. Quando Durnwalder ha avuto paura della destra radicale, e l’ha inseguita sui temi etnici senza tenere conto del fatto che il suo ruolo istituzionale di presidente gli imponeva di rappresentare tutti, anche i sentimenti, i valori e gli interessi della comunità italiana, avevamo detto che commetteva due errori. Lesionava la sua imparzialità e lavorava per il “nemico” politico, preparando il terreno proprio alla destra radicale. Non ha ascoltato.

Ora sembra che il rischio a destra si rafforzi. Il suffragio universale investì come una rivoluzione i regimi democratici del passato. Oggi la ripresa di sovranità dei cittadini costringe a una mutazione le istituzioni. E’ un bene che accada, ma prima la politica impara che il gioco è cambiato, meglio è.













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