Il processo

Bolzano, donna legata e torturata in casa

Condannato il convivente: ha patteggiato tre anni di reclusione. L’imputato sta seguendo un percorso terapeutico di recupero. Il giudice ha concesso le attenuanti generiche, ma ha disposto il divieto di avvicinamento alla vittima che vive in un alloggio protetto


Mario Bertoldi


BOLZANO. Per una donna bolzanina la vita nel contesto familiare accanto al proprio compagno era diventata un vero e proprio incubo, sino a quando, dopo settimane di angherie e minacce, l’uomo venne arrestato su disposizione del giudice delle indagini preliminari. Ieri l’imputato è riuscito a cavarsela con una pena complessiva a tre anni di reclusione patteggiati. La proposta è stata ritenuta congrua sia dalla Procura che dal giudice, nonostante il capo d’imputazione fosse particolarmente pesante.

I fatti risalgono all’autunno dello scorso anno. Nell’episodio più grave ricostruito davanti al giudice Emilio Schönsberg la donna venne addirittura sequestrata, rinchiusa in una camera, legata ad una sedia e sottoposta a torture con l’uso di un coltello. Fu il personale sanitario in servizio all’ospedale di Bolzano ad accorgersi dei tagli e delle ecchimosi presenti su collo e torace.

La donna si era presentata al nosocomio bolzanino accompagnata dal suo stesso compagno ed aveva accettato di tacere sulla situazione drammatica che era costretta a vivere in casa. Quel giorno al Pronto soccorso raccontò di essere caduta in bicicletta, ma la sua versione dei fatti non venne considerata credibile, se è vero come è vero che due giorni dopo il convivente venne fermato dalla polizia ed arrestato.

La successiva inchiesta condotta dal pubblico ministero Morandell portò alla luce un menage familiare caratterizzato da continue vessazioni psicologiche e fisiche. Lo dimostra il capo d’imputazione messo a punto dalla stessa Procura: maltrattamenti (alla presenza di minorenni), lesioni personali provocate dall’uso del coltello, sequestro di persona e tortura.

Sulla carta il convivente avrebbe rischiato una quindicina d’anni di reclusione posto che solo per il reato di tortura (introdotto nel nostro ordinamento penale nel 2017) l’imputato rischiava da 4 a 10 anni di reclusione. Il conto finale, invece, è stato decisamente più soft.

Con la compagna ospitata da tempo in un alloggio protetto, il convivente (che ha affrontato il processo con l’assistenza difensiva dell’avvocato Nicola Nettis) se l’è cavata con appena tre anni di reclusione, che presuppone la possibilità (qualora la pena dovesse diventare definitiva) di ottenere l’affidamento ai servizi sociali in prova e dunque di non scontare materialmente la pena in carcere.

La sentenza ha però confermato, almeno per il momento, il divieto di avvicinamento da parte dell’uomo (chiesto dalla stessa difesa). A convincere il giudice ad accogliere una richiesta di patteggiamento decisamente vantaggiosa, è stata la decisione dell’imputato di sottoporsi ad un percorso terapeutico con relativo trattamento di recupero.













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