Bolzano, verso la chiusura il reparto acciaierie della Valbruna

La proprietà conferma: "Situazione grave". A rischio 120 posti di lavoro



BOLZANO. Per ora è una possibilità. Ma per i sindacati, il fatto che sia stata l’azienda a paventarla, rivela che la situazione è grave: a gennaio, una volta finita la cassa integrazione straordinaria, la Valbruna potrebbe chiudere due reparti (acciaierie e decapaggio, continuerebbe a restare operativo il solo laminatoio) con la conseguente mobilità per 100-120 operai su un totale di 486. L’amministratore delegato Ernesto Amenduni ieri è stato molto franco con i sindacati: «La situazione del mercato è ancora critica. Se a settembre non ci sarà un’inversione di tendenza, allora potrebbe essere necessaria la chiusura dei due reparti».
 I sindacati sono in allarme e per mercoledì è già stata convocata un’assemblea aziendale per discutere della situazione con i 486 dipendenti («all’inizio della crisi - ricorda Fabio Parrichini della Fiom - erano ancora 510, ma in questi mesi di cassa integrazione se ne sono andati più di trenta rassegnando le dimissioni volontarie»). Più che la possibilità della chiusura dei due reparti («c’è ancora una speranza, quella prospettata dall’azienda è l’ipotesi di peggior caduta», resta fiducioso Parrichini), preoccupa il fatto che la proprietà abbia per ora escluso nuovi investimenti: «Sono state smentite tutte le voci di un possibile investimento per un nuovo laminatoio», riferisce Vincenzo Salerno della Uilm. Claudio Voltolini della Fim/Cisl vede in questa mancata volontà di investire un possibile primo passo verso un ridimensionamento ulteriore dello stabilimento bolzanino: «La proprietà - spiega - ci ha fatto intendere che il reparto acciaierie di Bolzano è un doppione rispetto a quello di Vicenza e se non ci sarà una ripresa degli ordini sarà privilegiata la fabbrica veneta. Gli Amenduni dicono che non vogliono abbandonare Bolzano, ma la verità è che senza investimenti anche il laminatoio è un doppione rispetto a quello che c’è a Vicenza. A questo punto ci chiediamo quali prospettive può avere uno stabilimento nel quale la proprietà non voglia investire». Ancora Salerno: «È evidente come la Valbruna abbia privilegiato lo stabilimento di Vicenza: la cassa integrazione è stata fatta quasi per intero qui a Bolzano, questo dimostra chiaramente quale sia la strategia della proprietà».
 In attesa di chiarire il futuro dello stabilimento di via Volta, la situazione delle prossime settimane è ancora quella dello “stop and go” a cui si è assistito in questi primi mesi dell’anno: fino al 30 maggio continuerà a lavorare il reparto acciaierie, mentre gli addetti del reparto laminatoio resteranno operativi fino al 10 giugno. Dopo la cassa integrazione di giugno, forse si riprenderà per tre settimane a luglio primo dello stop estivo tra il 2 e il 20 agosto durante il quale resterà fermo l’intero stabilimento.
 Fino ad allora si spera di fare qualche passo in avanti sulla questione del rumore («siamo arrivati all’assurdo che mentre l’azienda ha effettuato le misurazioni all’interno dello stabilimento, la ricca Provincia ha bloccato le misurazioni all’esterno, perché non ha i soldi - 9.700 euro - per affidare il lavoro a una ditta esterna», attacca Salerno e Voltolini ricorda che «sono ormai sei mesi che l’assessore Laimer ha istituito il gruppo di lavoro ma di soluzioni ancora non ne sono state proposte»), ma soprattutto i sindacati chiedono l’avvio di un tavolo di confronto con gli assessori competenti per discutere del futuro della zona industriale di Bolzano che continua a perdere pezzi. «È arrivato il momento - dichiara Voltolini - di pensare anche al ricollocamento degli operai delle fabbriche. Sapa e Valbruna hanno fatto intendere che i licenziamenti sono ormai più che un’ipotesi e non sono le sole aziende in difficoltà. Purtroppo i lavoratori interessati dai tagli rischiano di non riuscire più a trovare un collocamento alternativo sul mercato del lavoro. Bisogna subito iniziare a pensare ai corsi di riqualificazione. Penso in particolare a lavori socialmente utili, dove gli operai senza più lavoro potrebbero trovare una nuova occupazione».
 

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