Foibe, gli esuli altoatesini: «Strazio sempre uguale» 

Le autorità sul Longotalvera alla lapide dedicata ad istriani, dalmati e fiumani Uccisi solo perché italiani. Caramaschi: «Bolzano ha avuto due sindaci esuli» 


di Paolo Campostrini


BOLZANO. "Facevo la seconda media nel '45 quando ho visto entrare in casa quei soldati... Poi il buio, la fuga, le lacrime della mamma". E ancora: "Siamo arrivati a Bologna da Ancona, io ero piccolo, mia sorella di più. Ma hanno fatto lo sciopero contro di noi in stazione e il treno ha dovuto proseguire, neanche un pezzo di pane dopo giorni e giorni...". Sergio Perissutti, invece, era fuggito un po' prima dalla sua Dalmazia: "Siamo saliti sul penultimo piroscafo da Zara, c'era la guerra, era ancora il '44, di febbraio. La nave che partiva dopo fu bombardata, non si poteva più andare via. Sono finito in Friuli. E dopo la guerra qui. Ma non è che ci accogliessero a braccia aperte. Questo non lo dimentico". Ecco, tra il farsi del male e il farsi ancora del bene il confine corre fragile, un po' troppo sottile per stare da una parte o dall'altra. Ma ieri sul Lungotalvera San Quirino, davanti al monumento che ricorda i Martiri delle foibe c'erano tutti, gli italiani istriano-dalmati di Bolzano. Quelli che ancora ci sono, quelli che erano piccoli in quei giorni di vendetta e di morte in cui in terre abitate da duemila anni dai loro progenitori, bastava essere italiani, non tanto fascisti, per venire uccisi, violentati se donne, e infoibati, gettati cioè dentro quelle terribili caverne carsiche in cui gli slavi scagliavano, ancora vivo, il "nemico etnico" non solo politico. Mai così tanti, ieri, sulle passeggiate. Un centinaio, magari di più. I gagliardetti dei reduci e delle associazioni d'arma, prefetto, militari, anche giovani bolzanini. "Siamo qui per ricordare questi italiani, nostri fratelli che hanno sofferto - ha detto commosso il sindaco - e anche per avere memoria di questo: quando l'ideologia, il nazionalismo prevalgono, tutto può succedere. E anche per l'autonomia è una lezione, perchè non basta più la convivenza per svilupparci e crescere ma occorre stare insieme sul serio, condividere i valori, apprezzarci reciprocamente tra italiani e tedeschi". Accanto a Caramaschi c'erano due sindaci istriano-dalmati. Perchè Bolzano, quasi a testimonianza del grande contributo che questa gente ha dato alla comunità in tempi di democrazia, ha avuto come primi cittadini Giovanni Salghetti e Giovanni Benussi, entrambi dalmati. Famiglie di esuli. "Giornata dura - ha detto quest'ultimo in lacrime - che riapre ferite mai rimarginate e fa piangere nel ricordo della patria lontana, italiana da sempre...". Con Caramaschi, c'era anche il suo vice Cristoph Baur, a rappresentare la Svp; poi Christian Tommasini vicepresidente della Provincia ("Una tragedia nazionale, questa. Che ci ricorda come la libertà non ci è data per sempre e gratis" ha detto), e ancora molta politica, dalle parlamentari Luisa Gnecchi e Michaela Biancofiore, Sandro Repetto, Enrico Lillo, Alberto Sigismondi. E anche Bruno Borin, in fascia tricolore, in rappresentanza del Comune di Laives. Tra la folla, perchè ieri era, forse per la prima volta, folla, pure una rappresentanza dell'Anpi. La stessa associazione che poi avrebbe attuato una manifestazione di protesta, davanti al monumento alla resistenza in piazza Adriano contro ogni rigurgito di fascismo. "Siamo qui - hanno detto - per testimoniare solidarietà ad un dramma che ha colpito una intera popolazione. In particolare italiani". Poco prima Alessandro Urzì con Marco Galateo, aveva posto mazzi di fiori nei cartelli che ricordano, nei pressi delle passeggiate e del monumento ai martiri istriani, le vie di quei luoghi sul nostro confine orientale: Fiume, Zara, Pola. E polemizzando, in particolare Marco Galateo di FdI "sulla concomitanza, proprio in questo giorno, di una manifestazione antifascista". Nella cerimonia ufficiale, invece, nessuna strumentalizzazione o polemica politica. "Siamo qui, finalmente, tutti insieme" ha detto il sindaco.

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