Industria, adesso sono gli italiani a volere i posti degli immigrati

In Alto Adige i lavoratori stranieri sono circa 25 mila su un totale di 191 mila dipendenti Tonioni (Röchling): «Prima della crisi il personale locale non si trovava, oggi siamo pieni di domande»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Faccio turni: dalle 6 alle 14 o dalle 14 alle 22; qui si lavora a ciclo continuo 24 ore su 24, dal lunedì al sabato. A Bolzano sono arrivato 15 anni fa: prima assunzione alla Speedline, poi all’Alcoa, quindi alla Sapa e oggi alla Aluminium Bozen. Alla Speedline su 400 dipendenti il 70% erano immigrati; sono cambiati i numeri - all’Aluminium siamo in 98 - ma la proporzione è rimasta più o meno la stessa: 65-70% di lavoratori stranieri». Zine Samir Sekali, 46 anni marocchino, padre di tre figli di 8, 13 a 17 anni, 1.300 euro al mese di stipendio e 950 di affitto, è un operaio oltre che un delegato della Fiom-Cgil dell’azienda di via Toni Ebner.

«Anche mia moglie - spiega - lavora altrimenti non potremmo farcela: ai miei figli raccomando sempre di studiare, perché voglio che non facciano i sacrifici che facciamo noi ogni giorno per tirare avanti».

Il sindacalista marocchino è uno dei tanti extracomunitari che lavorano nelle aziende altoatesine.

«In base alle ultime statistiche - spiega Toni Serafini, segretario provinciale della Uil - i lavoratori dipendenti in Alto Adige sono 191 mila e 300, di cui 166 mila (86%) italiani, gli altri sono stranieri. La ripartizione è questa: 14.025 arrivano dall’area Ue (7,3%), 11.300 (5,9%) extracomunitari. I settori dove sono maggiormente concentrati gli extracomunitari sono edilizia (35%), pulizie (30%), assistenza agli anziani (90%)».

Per quanto riguarda le grandi aziende metalmeccaniche la quota viaggia intorno al 10%: alle Acciaierie su un totale di 500 dipendenti, 50 sono stranieri, di questi 10 sono extracomunitari (Maghreb e Africa continentale) e 40 romeni (comunitari); all’Iveco Defence su un totale di 800 dipendenti ci sono 90 stranieri di cui 80 già cittadini italiani e una decina in attesa di cittadinanza. La quota maggiore è rappresentata dagli albanesi, seguiti dai maghrebini; alla Röchling di Laives su 870 dipendenti 200 sono stranieri. In un’azienda più piccola, come al Clm, tanto per fare un esempio, su 45 dipendenti, 20 sono extracomunitari.

«Prima della crisi del 2008-2009 - spiega Fabio Parrichini, segretario della Fiom-Cgil - gli altoatesini snobbavano certi posti, in particolare quelli del settore metalmeccanico dove le aziende lavorano spesso a ciclo continuo e quindi si fanno i turni. Cercavano, anche giustamente, i lavori più comodi, meglio ancora se pubblici piuttosto che privati. Poi è arrivata la crisi ed è cambiato il mondo. Le aziende hanno cominciato a licenziare e anche adesso che si parla di una leggerissima ripresa di cui per altro in zona industriale non si vedono gli effetti se non in maniera minima, le assunzioni, nonostante il tanto sbandierato Jobs Act, si fanno con il contagocce. La conseguenza è che oggi gli italiani sono disposti a tutto: accetterebbero qualsiasi posto, anche quelli più scomodi, pur di avere uno stipendio a fine mese. Ma ovviamente le potenzialità di assorbimento da parte del mercato sono quelle che sono. In questa situazione più d’uno rimprovera agli immigrati di avergli portato via il lavoro. Ovviamente non è così, semplicemente c’è chi in tempi di vacche grasse non avrebbe mai fatto certi lavori e chi, come gli immigrati, ha accettato di farli e oggi ha un posto».

Conferma questa sorta di guerra tra poveri Tamara Tonioni, capo del personale della Röchling la multinazionale germanica con sede a Laives, specializzata in componentistica per automobili: in tutto 1100 dipendenti, distribuiti tra Italia, Romania e Spagna: «Degli 870 dipendenti dello stabilimento di Laives 200 sono stranieri, in rappresentanza di 44 nazionalità: si va dalla Germania all’Austria, alla Colombia, e poi ancora Cina, Costa d’Avorio, Russia, Perù, Collombia. Le professionalità sono diverse: dall’ingegnere addetto ai calcoli indiano all’ingegnere elettronico giapponese, la maggior parte comunque sono operatori alla macchina. Da noi si lavora 24 ore al giorno, sette giorni su sette: è comprensibile quindi che prima della crisi, fosse difficile trovare personale locale. Abbiamo sopperito alle carenze proprio grazie al personale extracomunitario. Poi la crisi ha cambiato tutto - noi anche prima del Jobs act abbiamo trasformato i contratti di somministrazione in contratti a tempo indeterminato - attualmente quindi non abbiamo bisogno di altro personale. Ma riceviamo praticamente ogni giorno i curricula di persone altoatesine, del sud Italia e anche del Triveneto che si propongono per venire da noi: accetterebbero qualsiasi lavoro».













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