La Cassazione: «Terroristi i jihadisti meranesi» 

Depositate le motivazioni della conferma delle condanne già inflitte «Il gruppo era pronto ad agire». Nauroz referente della rete di terrore in Italia


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Il gruppo jihadista stroncato nel Meranese dopo quattro anni di indagini era pienamente operativo e le azioni poste in essere non si sono limitate alla mera condivisione di progetti terroristici a sostegno del Califfato e dello Stato Islamico, ma ha evidenziato la capacità di acquisire armi e di inviare adepti in zona di guerra, offrendo loro sostegno economico. E’ quanto si legge nelle motivazioni con cui la Corte di Cassazione ha rigettato l’ultimo ricorso possibile degli imputati della cellula la cui condanna è ora diventata definitiva. Al centro del gruppo si conferma ancora una volta la figura di Abdul Rahman Nauroz, condannato in via definitiva a sei anni di reclusione. Ritenuto già membro di Ansar Al Islam, nelle cui fila aveva combattuto in Iraq. Nauroz (che viveva a Merano) è risultato inserito a pieno titolo nella cellula italiana dell’organizzazione terroristica internazionale “Rawti Shax”, nella quale ha assunto progressivamente un ruolo di responsabilità. Non solo. Dopo l'arresto del mullah Krekar (ancora sotto processo a Bolzano) Nauroz è stato formalmente investito come referente per l'organizzazione in Italia e ha svolto compiti di proselitismo ed era diretto destinatario ed esecutore di incarichi riservati e segreti. In sostanza la prima sezione penale della Corte di Cassazione conferma quanto già emerso nei due processi di merito è cioè che a carico di Nauroz « è configurabile un ruolo di organizzatore e dirigente».

Gli addestramenti e le accertate partenze di adepti di “Rawti Shax” per la Siria, teatro di guerra, stanno a dimostrare - in tale ottica - una linea di adesione concreta ad un modello violento di instaurazione del califfato islamico. La cellula meranese era dunque parte - secondo quanto si legge in sentenza - di una struttura gerarchica a rete. Secondo i giudici di legittimità sussistono dunque i presupposti oggettivi e soggettivi per il reato di “associazione con finalità di terrorismo anche internazionale” (articolo 270 bis codice penale).

In sentenza i giudici cassazionisti ricordano che per la sussistenza del reato non è necessario che l'atto di violenza con matrice terroristica sia identificato «come di prossimo compimento» quanto che la tipologia di attività realizzata nel contesto associativo sia chiaramente identificabile come concreta manifestazione di volontà di contribuire alla sua futura realizzazione. Come dire che il gruppo jihadista sgominato nel Meranese non è stato condannato per la semplice adesione a delle idee rimaste in astratto. «Ciò che rileva - si legge in sentenza - è la concreta idoneità della struttura associativa a porsi come strumento di probabile attuazione di uno o più atti qualificabili come terroristici». Per gli imputati la partecipazione alla attività associativa è stata desunta da conversazioni in larga misura autoevidenti relative alla condivisione della progettualità del gruppo e alla diffusione della ideologia fondamentalista, realizzando le direttive del mullah Krekar.

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