il ricorso

Musicista della Haydn lincenziato per “inutilizzo” 

La Cassazione ha parzialmente accolto le motivazioni del sesto violoncellista Il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Bolzano. La Fondazione oppone ragioni di bilancio



BOLZANO. C’è una condizione di fondo, in questa storia. Meno fondi riceve la cultura, meno persone possono viverne. Un assunto tutt’altro che banale, nel caso del sesto violoncellista della Fondazione Haydn licenziato una prima volta perché «sottoutilizzato», e poi una seconda volta per l’esigenza di sopprimere il posto almeno per il 50 per cento della prestazione, nel quadro di una politica di riduzione dei costi aziendali.

Presto potrebbe arrivare al dunque, questa lunga vicenda segnata da ricorsi e controricorsi. Nell’ordinanza appena pubblicata, la Cassazione parzialmente accoglie i motivi del ricorrente (il violoncellista, appunto), rimandando tutto alla Corte d’appello di Bolzano.

Il violoncellista era già stato licenziato una prima volta. Rimaneva una potenziale utilizzabilità al 28 per cento, però, così il giudice accertò che il provvedimento era da ritenersi nullo. Verso la fine del 2016, la Haydn propose al violoncellista un contratto part time. L’offerta fu declinata.

Più avanti è stato disposto un secondo licenziamento, quello all’origine della lite attuale. Rappresentato dall’avvocata Tiziana Lamarina, il violoncellista ha impugnato il licenziamento davanti al giudice del lavoro, che però ha rigettato l’impugnazione. E pure la Corte di appello, nel 2020, ha respinto il relativo reclamo del musicista. Nella sentenza di appello poi riformata, si leggeva che il sesto violoncello sarebbe stato necessario solo per le «sporadiche occasioni» di programmi richiedenti la presenza di sei archi, oltre che per un 10 per cento esigenze di sostituzione.

Il musicista, allora, ha deciso di fare ricorso in Cassazione, con la Haydn che a questo punto si è costituita controricorrente. La difende l’avvocato Alessandro Fabbrini, di Bolzano, coadiuvato dall’avvocato Fulvio Fameli. Le motivazioni sono sei. La prima (rigettata dalla Cassazione) riguarda una presunta violazione del principio del bis in idem, vale a dire il doppio licenziamento per il medesimo fatto, sebbene la Fondazione avesse dichiarato che sopprimere il ruolo del sesto violoncello risultasse necessario per ripianare il deficit di bilancio, secondo una politica che si potrebbe definire “di austerità”. Anche perché, come riporta l’ordinanza, «negli ultimi anni» (si riferisce al periodo del licenziamento) i contributi «erano sensibilmente diminuiti». La Cassazione ha rigettato anche il secondo e il quinto motivo (nullità della sentenza e nullità del licenziamento per causa illecita, licenziamento ritorsivo o esemplare), mentre il sesto (spese del processo e proposte conciliative) risulta assorbito.

Il terzo e il quarto motivo invece sono stati accolti. Si riferiscono al nesso di causalità tra la ragione addotta dalla Fondazione e il licenziamento del ricorrente (nesso inesistente, secondo il ricorrente). Accogliendoli, la Cassazione annota che «non si comprende da quali elementi di giudizio la Corte (d’appello, ndr) abbia ricavato che le esigenze di contrazione dei costi dovessero limitarsi a un determinato settore lavorativo». Più avanti ricorda che la Corte d’appello «ha pure rigettato le osservazioni del lavoratore concernenti la mancata soppressione di un altro e più costoso posto di lavoro, quello del terzo corno».

Comunque, la Cassazione non dichiara che il licenziamento sia illegittimo e che quindi il musicista debba essere riassunto o risarcito, ma osserva come la Corte d’appello abbia omesso una spiegazione dettagliata del nesso causale tra il licenziamento e le esigenze di risparmio. Ciò non significa, al momento, che durante il processo la Fondazione non avesse fornito gli elementi necessari a suffragare la bontà del licenziamento, bensì che la sentenza di appello cassata non avrebbe argomentato a sufficienza in merito alla legittimità del licenziamento. S.M.

 













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