Pietre in ricordo degli ebrei deportati

Sono state messe davanti alle case dove le famiglie hanno abitato per anni, prima di diventare vittime della follia nazista


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Il negozio di cereali, farina e generi alimentari di mio zio Renzo doveva essere qui, dove oggi c'è la sede di una banca». Cesare Finzi, classe 1930, cardiologo ebreo-ferrarese, si commuove quando l'artista Gunter Demnig, pianta davanti all'ingresso del civico 16 di via Cassa di risparmio, cinque pietre nelle quali sono scolpiti i nomi di Renzo Carpi, sua moglie Lucia Rimini e dei tre figli, Alberto, Germana e Olimpia.

«I miei zii e i miei cugini hanno abitato per anni in questo palazzo nel cuore di Bolzano, prima di essere deportati nel campo di concentramento di Reichenau. Non abbiamo più saputo nulla, se non che Olimpia, nel 1944, pochi giorni prima di compiere quattro anni, è morta in una camera a gas di Auschwitz. Questa è la sua ultima foto: la rivedo così, sorridente».

Oltre alle cinque pietre che ricordano la famiglia Carpi ieri, nell'ambito del progetto sostenuto dal Comune, dall'Archivio storico e dall'Anpi, ne sono state messe altre dieci per non dimenticare altrettante famiglie ebree, che hanno vissuto a Bolzano e sono state spazzate via dalla follia nazista.

Obiettivo dell'iniziativa - alla quale ha partecipato anche una delegazione di studenti della quinta A del liceo Pertini - hanno spiegato l'assessore Patrizia Trincanato, il presidente dell'Anpi Orfeo Donatini e il responsabile dell'archivio storico Hannes Obermair: evitare che il tempo cancelli la storia di tante persone normali che un giorno del settembre del 1938, dopo l’emissione delle leggi razziali, hanno scoperto all'improvviso di essere “diverse” e quindi di non poter più andare a scuola, non poter più lavorare, in una parola non avere più diritto di vivere.

Il 22 agosto 1938 l'"Ufficio centrale demografico", che poco dopo il 5 settembre divenne la "Direzione generale per la demografia e la razza" impose, nell'ambito delle prime misure antisemite adottate dall'Italia e valide sull’intero territorio, un censimento della popolazione ebrea. Il 12 ottobre 1938 ne furono pubblicati i risultati anche sul quotidiano "La Provincia di Bolzano": in Alto Adige erano registrati 938 ebrei, di cui 69 residenti a Bolzano.

Era l'inizio della fine.

Grazie alle ricerche fatte in questi anni dalla Comunità ebraica di Merano assieme all’Archivio storico e all’Anpi, si è riusciti a rimettere assieme tasselli di vite spezzate di famiglie ebree, residenti a Bolzano, deportate e morte nei campi nazisti.

È così che si è scoperto che Aldo Castelletti, originario di Mantova, abitava al civico 44 di via Rosmini, ex Casa Ina, con la famiglia. Dopo l’arresto le due figlie furono rilasciate e scapparono in Svizzera, mentre il capofamiglia, che all’epoca aveva 52 anni, venne deportato nel 1943 nel campo di concentramento di Reichenau e da lì ad Auschwitz.

Charlotte Landau-Neuwohner e la figlia Felicitas abitavano al civico 8 di via Leornardo da Vinci: una vita normale la loro fino al 1939 quando vennero condannate a 10 giorni di carcere e ad una multa di 100 lire per un ritardo nella “dichiarazione di appartenenza linguistica”: era l’inizio di un incubo che avrebbe portato entrambe, nell’aprile del 1944, ad Auschwitz.

Adalgisa Ascoli lavorava come commessa e abitava al numero 8 di vicolo delle Erbe. Nel 1941 aveva presentato la dichiarazione di “appartenenza alla razza ebraica”, il 17 settembre del 1943 il mondo le crollò addosso: prima l’arresto, poi la deportazione. Non si sa neppure con esattezza dove: forse nel campo di Flossenbürg, forse in quello di Auschwitz. Quello che è certo è che dall’inferno non è più tornata.

Adolf Schwarz ha vissuto tra Budapest, il Trentino e Bolzano, al civico 1 di via Leonardo da Vinci, dove c’era l’albergo Posta. L’inizio del calvario il 4 giugno del 1944: aveva 73 anni e venne rinchiuso nel campo di concentramento di Fossoli; il 2 agosto di quell’anno era sull’ultimo treno in viaggio per Auschwitz. Josef Weinstein commerciava in abbigliamento tra Merano e Bolzano dove abitava al 17 di via della Mostra. Gli affari andarono bene fino al 1938 quando, in quanto ebreo, perse la licenza. Venne arrestato mentre, l’anno dopo, cercava di scappare verso Milano. Morì il 28 ottobe del ’44 ad Auschwitz.

Wilhelm Alexander Loew-Cadonna era un avvocato di origine viennese che abitava in piazza Erbe. Il 6 febbraio del 1944 venne arrestato dalle Ss e portato per l’interrogatorio nella caserma della Gestapo, quindi le torture nel campo di via Resia. Ad Auschwitz gli diedero il numero 199872.

Auguste Freund gestiva un negozio di porcellane e vetri in piazza Erbe. Un’attivita che aveva dovuto cedere dopo 20 anni a causa delle leggi razziali. Morì nel 1944 ad Auschwitz. Ada Tedesco abitava in via Portici, dove c’è oggi la sede del vecchio Municipio. Le sue tracce si perdono tra il campo di Reichenau e quello di Auschwitz. Bernhard Czopp era il veterinario del Comune di Bolzano e abitava al 18 di via Hofer, poi le leggi razziali decretarono la revoca della cittadinanza italiana: improvvisamente era diventato un appestato e non riuscì a sopravvivere all’Olocausto.













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