Verso il 25 novembre.

La rete dei centri antiviolenza: «Prevenzione fin dalla scuola»

Christine Clignon (Gea): «Noi mettiamo un cerotto, ma va rafforzata la formazione specifica già dalla scuola dell'infanzia. Gli uomini dicono “non tutti...”, però non reagiscono alle battutacce in spogliatoio. Dovrebbero mobilitarsi per primi»

L'ALTO ADIGE SI FERMA. Il 25 novembre sirene e due minuti di silenzio. Aderisce Assoimprenditori 


Sara Martinello


BOLZANO. Più prevenzione. A tutti i livelli e fin dalla scuola dell’infanzia, con fondi dedicati e aspetti vincolanti in tema di formazione affettiva, emotiva e sessuale e di contrasto degli stereotipi. È la richiesta – forte e chiara – espressa da Christine Clignon, presidente di Gea, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. Anzi, le richieste sono molteplici, perché servono anche una formazione specifica di chi lavora nella rete antiviolenza e una presa di coscienza globale. Più che da «minuto di silenzio», Christine Clignon è una da «minuto di rumore». Quel minuto di rumore arrabbiato delle migliaia di studentesse e studenti dell’Università di Padova ieri davanti al dipartimento di Ingegneria biomedica, dove Giulia Cecchettin studiava.

È iniziata la settimana del 25 novembre, Giornata internazionale per la eliminazione della violenza contro le donne. Una maratona di eventi, un tassello nella costruzione della consapevolezza e della cultura del rispetto. Ma è tutto ancora troppo lento. La violenza maschile esiste ancora. I centri antiviolenza curano la parte «emergenziale» del tema della violenza di genere.

«Affianchiamo le donne in situazioni di violenza, con tutto quel che comporta», spiega la presidente di Gea, «Mettiamo un cerotto, ma andrebbe rafforzata con una formazione specifica tutta la rete che lavora insieme a noi, dalle forze dell’ordine ai servizi, alla Sanità, e così via». Una via d’uscita da situazioni di violenza c’è sempre.

A Bolzano, si può contattare il numero verde 800 276 433, attivo 24 ore su 24 e sette giorni su sette, anche a Natale.
È grazie a questa crescente consapevolezza che il lavoro dei centri antiviolenza è sensibilmente aumentato, negli ultimi anni. Significa che più donne possono accedere a forme di sostegno e di protezione, anche con le loro figlie e i loro figli. Ma servono risposte adeguate anche in termini di finanziamento dei centri.

Christine Clignon prosegue: «Poi c’è la prevenzione, da sviluppare in tutte le tappe scolastiche, fin dalla scuola dell’infanzia. Un’educazione affettiva, emotiva e sessuale che tenga conto anche degli stereotipi di genere, non ideologizzata». Specialmente in questi giorni, sempre più uomini fanno una sorta di coming out. Riconoscono pubblicamente di avere tenuto comportamenti violenti, si mettono in ascolto e sostengono la lotta delle donne per una vita libera dalla violenza. Altri sono fermi al «Non tutti gli uomini sono così».

Christine Clignon obietta: «Certo, però stanno zitti, quando sentono le battutacce sessiste in spogliatoio. Le “campagne bystander”, sull’“effetto spettatore”, esistono da anni. Facciamole anche in Italia. Parte del lavoro è di tipo culturale e non si limita agli uomini, ma si rivolge anche alle donne. Ognuna di noi deve essere in grado di posizionarsi. Ma dovrebbero essere gli uomini i primi a mobilitarsi». Cita i Cam, i Centri di ascolto per uomini maltrattanti, in voga da qualche anno: «Devono lavorare secondo criteri precisi, con un focus sulla sicurezza della donna. Altrimenti, sono fondi tolti ai centri antiviolenza».

La presidente di Gea porta i dati del World Economic Forum: nel report uscito l’estate scorsa, nella classifica sull’ampiezza del divario di genere l’Italia perde 13 posizioni e scende al 79esimo posto su 146 Paesi. Il Wef stima che in Italia ci vorranno 131 anni per arrivare a una società più equa a livello complessivo. Ce ne vorranno 169 per la parità economica e 162 per quella politica. Tornando a Bolzano, basterà ricordare che alle scorse provinciali l’elettorato altoatesino ha eletto in Consiglio solo 10 donne su 35 posti disponibili.













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