Il ricordo

Cinema in lutto, addio al regista meranese Rolf Mandolesi

Scomparso a 88 anni dopo una vita passata a catturare con la cinepresa le persone, i luoghi e le contraddizioni della nostra società


Sara Martinello


MERANO. La cinepresa si è spenta. L’occhio che aveva viaggiato per tornare a Merano e guardarle dentro, la lente critica di un esegeta garbato. Rolf Mandolesi è scomparso. Aveva 88 anni e soffriva da tempo, consolato dall’amore della moglie, dei figli e dei nipoti. Fino a qualche tempo fa lo si vedeva ancora passeggiare sul Lungopassirio accompagnato dalla badante. Poi, la notizia della sua morte.

Nato nel 1933 a Milano, Mandolesi si era trasferito a Merano nel 1956, dove per 32 anni aveva lavorato come odontotecnico nello studio Singer. Aveva iniziato presto a dedicarsi alla cinematografia indipendente, realizzando decine di opere spesso incentrate sui grandi temi politici dagli anni Sessanta in poi. I suoi film ricalcavano un mezzo secolo meranese e altoatesino nell’occhio della storia italiana, facendone una critica mediata attraverso l’uso della metafora, anche quando si trattava della questione italiana in Alto Adige.

Documentarista sempre, a Bali come a Mosca, a ricercare nel mondo i tratti di un umano universale che a Merano vedeva negli invisibili e nelle anime affini. Una su tutte Gigi Bortoli, per lunghi anni nei panni di attore, che nel 1999 sull’Alto Adige documentava le imprese dell’amico a Melbourne, a Klopein, in Liguria, dove Mandolesi aveva fatto incetta di premi grazie al suo “Duemilaeunanotte”.

Nello Yemen il regista meranese si aggirava «tra i palazzi di fango cogliendo nel quotidiano il senso di una storia millenaria. Come sempre, anziché affidarsi a un commento parlato, predilige affidare il suo racconto alle immagini, ai rumori registrati dal vivo e ad una colonna sonora, tanto discreta, quanto efficace», scriveva Bortoli.

Insieme a Günther Haller, Mandolesi era l’anima del “Video & Superotto Club Merano Fedic”, da lui fondato nel 1983 e presieduto fino all’ultimo. «Erano anni pionieristici per il cinema non professionale», ricordava pochi anni fa. Instancabile regista di corti e disincantato interprete di temi sociali, da “Attila c’è” («Il potere di pochissimi richiede inevitabilmente il travaglio e il bavaglio dei tantissimi») a “Vicine”, nel quale «due vicine di casa, pur appartenendo a etnie diverse, vivono “assieme” e non “l’una accanto all’altra”».

E ambientali, come nel documentario “Il grido di Cassandra”, «una personale verifica dello stato deplorevole di certe coste e fondali del Mar Rosso, nonché previsione nefasta sul futuro dei gettonatissimi siti balneari dell’Egitto». Per restare sul Passirio, “Ritorno”, radiografia delle nuove architetture cittadine poco apprezzato a Merano ma trionfatore al “Trofeo Trieste” del 2007.

Il nome di Rolf Mandolesi è parte della Merano che resisteva con gli occhi aperti sul mondo. O di quel mondo diffuso e intriso di umano che lui ha fatto conoscere alla sua città.













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