IL CASO

Sventrato l’Hotel Posta, hanno vinto le lobby 

Vittorio Sgarbi duro: « Sembra che su Dobbiaco sia passata una guerra. Ora vado in Procura» Kettmair (Fai): «Uno scempio». L’assessora Kuenzer: «Toccava al Comune chiedere la tutela»


Paolo Campostrini


DOBBIACO. Eccola, la piazza violata. Giù gli ultimi mattoni del “Posta”, si vede la chiesa e il campanile. Era un secolo che non apparivano, coperti com’erano dal vecchio hotel asburgico.

Ora, guardandolo così, ridotto in macerie, Vittorio Sgarbi è un fiume in piena: «Sembra che su Dobbiaco sia passata una guerra. O un terremoto. Ma non ci sono stati ne l’uno ne l’altra. Solo una politica incapace». Tanto che avverte il sindaco: «Farebbe bene a dimettersi subito, altrimenti lo si costringerà dopo, quando lo porterò in tribunale e farò sfilare davanti a lui i migliori critici d’arte e mezze sovrintendenze nazionali».

Ha già preso appuntamento in Procura, l’onorevole. In mano ha le denunce anche per il governatore altoatesino, l’assessore e le Belle arti. Parla di interessi nascosti, di speculazioni e speculatori. «Se l’avessero ristrutturato, preservandolo, avrebbero potuto ricavare una decina di appartamenti. Così, saranno il triplo. Me ve lo immaginate se avessero compiuto questo scempio in una piazza di Siena o di Bassano? Sarebbero arrivati coi forconi ma qui, in Alto Adige, tutto si può svendere...».

Di scempio parla anche il Fai. «Di più e peggio, - dice Simona Kettmeir - è uno scandalo. Da qui, intendo da Bolzano, non possiamo fare più nulla ormai per fermarli. Ma ci penserà Milano». La presidente intende il Fondo ambiente nazionale. Ed è Costanza Pratesi, responsabile italiana del settore paesaggio e patrimonio, a guidare una reazione che si preannuncia di grande portata. Che sta coinvolgendo politici (l’ex ministro Giulio Tremonti), intellettuali (Franco Debenedetti), il mondo dei protezionisti, migliaia di firme di protesta in arrivo.

A Dobbiaco è un rimpallo di responsabilità. Il sindaco, Martin Rienzner, alza le mani e scarica sui suoi precedessori («è una storia, questa del Posta che dura da dieci anni»), l’assessore provinciale, competente per il patrimonio, Massimo Bessone, si proclama innocente e passa la palla all’assessora competente per l’urbanistica, Maria Hochgruber Kuenzer; la quale fa lo stesso e riscarica sulla Sovrintendenza, sempre provinciale. Che a sua volta non ha posto vincoli in capo al Posta.

Insomma, una Provincia che neanche Pilato a Gerusalemme. Con la differenza che, a differenza del proconsole della Giudea prima di lavarsi le mani, non ha neppure chiesto al popolo cosa avrebbe voluto scegliere tra il Posta e i privati. Ha scelto di non scegliere e neppure di far scegliere. E ora tutti hanno pronto l’asciugamano per detergersi.

Ma l’assessora Kuenzer si vuole togliere qualche sassolino: «Toccava al Comune, nel caso, chiedere la tutela del manufatto. Cosa che non è avvenuta. Oppure lo poteva chiedere anche un’associazione. Come l’Heimatpflege. Adesso magari si muoveranno ma potevano farlo prima... Io ora non posso più, non c’era aggancio giuridico».

La questione, d’altro canto, di solito riguarda quel patrimonio immateriale costituito dal paesaggio. Che è spesso volubile e mutante. In realtà, questo patrimonio a volte è costituito anche da architetture che sono invece fatte di mattoni e di presenze effettive, oltre che simboliche. Ed è il paesaggio ormai secolare della piazza di Dobbiaco, una delle perle delle Dolomiti, a non essere più lo stesso. E neppure lo sarà domani. Perché anche il progetto e l’edificio che sostituirà l’hotel non possiede neppure l’energia di una architettura contemporanea e dunque coraggiosa.

È un progetto ordinario. Ed è su questo che il Fai darà battaglia: «Dobbiaco e l’Alto Adige hanno perduto una icona del passato, una testimonianza storica e architettonica al pari degli altri, pochi, grandi alberghi otto-novecenteschi ancora in piedi e a questo punto da proteggere assolutamente». Mentre ci sono voci di inchieste, non solo giornalistiche e di possibili aperture di fascicoli. Per capire, ad esempio, i possibili vantaggi privati e, non si voglia, pubblici di questa operazione.













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