Appesi sulla via ferrata, la salvezza in elicottero 

Il racconto. Coppia impegnata lungo la “Heini Holzer” sull’Ivigna, la donna ha un malore «Momenti di angoscia, dal Soccorso alpino una risposta straordinaria: persone eccezionali»



Merano. Per i soccorritori potrebbe quasi sembrare routine. Ma così non è e a ricordare quanto sia prezioso il loro servizio questa volta è una testimonianza diretta di due escursionisti che hanno voluto raccontarla. Teatro dell’operazione è la zona di sotto il grande picco Ivigna.

Le difficoltà.

La vicenda risale a una decina di giorni fa. «Con la mia compagna di vita e d’avventura - racconta l’uomo che ha voluto rendere nota la sua esperienza -, trovandoci nella zona di Merano, appassionati da sempre di montagna quali siamo, abbiamo deciso di salire per la via ferrata dedicata ad Heini Holzer. L’esperienza di montagna, anche per vie d’arrampicata, non ci manca, il tempo prometteva sole per tutta la giornata, forse l’unico fattore negativo, a volerne considerare uno, poteva essere rappresentato dalla temperatura elevata, ma questo ci è sembrato il minore dei mali. Tra l’altro qualche nuvoletta a tratti stemperava i cocenti raggi solari e allora, senza ulteriori altre preoccupazioni, ci siamo avventurati». Nel corso della salita, molto fisica ma non particolarmente difficile lungo una via d’ascensione «impeccabilmente attrezzata che non ha trascurato di lasciare qualche difficoltà in campo, la mia compagna ha avvertito un improvviso e imprevisto malore fisico che le ha impedito sia di proseguire sia di scendere. A nulla è valso attendere che il malore svanisse o che il mio aiuto potesse, in qualche modo, sciogliere l’impasse. La mia compagna, con il passare del tempo, peggiorava al posto di migliorare. Eravamo lì, appesi entrambi, nel tratto più verticale e difficile della via di salita, sotto i raggi arroventati del sole, ormai ultimi avventori della via ferrata, ogni spiraglio d’uscita ci è apparso impraticabile».

I soccorsi.

A quel punto la situazione diventa davvero critica. «Che fare? È sempre difficile per degli alpinisti, sia pur modesti e dilettanti quali siamo noi, ricorrere al Soccorso alpino, non per una semplice ed esclusiva questione d’orgoglio che pure a torto cova, ma principalmente per una complessa ressa di fattori: la paura d’implementare una macchina sicuramente non facile da gestire; la paventata complessità del soccorso e tante altre oscure ragioni che, a tutt’oggi, non so precisare. È un po’ come accade a chi sta per annegare che comunque, prima di gridare a squarciagola aiuto, senz’altro proverà a nuotare e a cavarsela da solo. Lì purtroppo, su quel passaggio, viste le condizioni di malessere della mia compagna, non c’era più acqua per nuotare e per questo, superando ogni reticenza psicologica e difficoltà oggettiva, del trovarmi comunque appeso nel vuoto, ho tirato fuori dallo zaino il mio cellulare è ho composto il numero del Soccorso alpino». Una voce chiara risponde, chiedendo del problema. Poi rassicura: «Bene! Vedrò chi è più vicino a voi per venirvi a prendere, ora è meglio lasciare libera la linea telefonica». Dopo venti o trenta minuti il telefono della coppia in difficoltà squilla: «Tra pochi minuti arriverà un elicottero a prendervi, se potete segnalate come vi è possibile la vostra presenza, anche se siamo sicuri di aver localizzato il punto in cui vi trovate».

Così è stato. La sagoma del velivolo compare e, dopo una virata a semicerchio, un uomo si cala con un verricello nel vuoto assoluto. «L’elicottero si è talmente avvicinato alla montagna sopra di noi che le sue pale quasi si sono messe a solleticare la roccia», prosegue la testimonianza. «Tre minuti dopo la mia compagna era allacciata al soccorritore, senza aver dovuto lei, in prima persona, compiere alcuna manovra di collaborazione. Tutto è stato svolto dal soccorritore con perizia difficile da comprendere e raccontare, facile mi è stato, al contrario, provare un senso di rinascita interiore nel vedere la mia compagna ormai in buone mani e in salvo. Da questa peripezia a lieto fine ho incassato un’ennesima lezione da parte della montagna: mai sottovalutala anche quando si è sicuri di lanciarsi in ascese ritenute facili; ma l’ambasciata più importate è consistita nell’aver riscontrato, in prima persona, che tipi d’uomini e donne operano, come volontari non pagati, nel Soccorso alpino. Se, come affermava Albert Einstein “il valore di una persona risiede in ciò che è capace di dare e non in ciò che è capace di prendere” questi uomini è queste donne sono, a tutto diritto, sull’apice della piramide della generosità e dell’altruismo anzi ne rappresentano l’apoteosi. Senza paura di fare retorica cito Robert Green Ingrersoll, “le loro mani sono più sante delle labbra che pregano” e per noi lo sono state».













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