Da mais e crauti al foie gras Così la cucina nell’800 si fa chic 

A tavola. Per secoli i meranesi vissero di quel poco che offriva la campagna, scarsità alimentare mitigata dall’arrivo delle truppe napoleoniche. Poi l’avvento dei ricchi turisti spesso con cuochi al seguito segna la svolta: i menù si fanno raffinati e internazionali


Jimmy Milanese


Merano. Ad un certo punto, dopo secoli bui, Merano iniziò ad essere la città che conosciamo. Era il 1820 quando, dopo un periodo di dominazione franco-bavarese che aveva portato una tregua nella secolare e drammatica situazione di sopravvivenza alimentare, Merano iniziava a riprendersi, culturalmente ed economicamente, anche grazie all'arrivo di ricchi e importanti turisti. Infatti, dal trasferimento di Federico IV d'Asburgo a Innsbruck nel 1420, dopo oltre un secolo nel quale, con il Tirolo ceduto agli Asburgo, Merano era diventata meta di pellegrinaggio alla corte di Federico detto il “Tascavuota”, la città aveva iniziato un lento ed inesorabile declino culturale ma, soprattutto, aveva sperimentato la carenza degli approvvigionamenti alimentari. Una scarsità di alimenti mitigata con l'arrivo e l'occupazione da parte delle truppe napoleoniche. Meranesi i quali per secoli si erano nutriti solo di quel poco che passava la campagna, cioè farina di mais e ortaggi stagionali, poca carne e niente vino. Vino introdotto nel meranese dai bavaresi stessi che amavano tanto la birra quanto l'uva e i suoi derivati. Al punto che con la loro seppur breve permanenza in Tirolo le abitudini alimentari locali erano iniziate a cambiare, dopo secoli di inerzia.

Il sindaco Haller.

Un cambiamento, quello iniziato all'incirca nel 1820, con la città che nelle cronache cittadine si meritava l'appellativo di “Kuhstadt”, vale a dire città delle mucche. Un patrimonio, quello delle vacche, che di lì a poco avrebbe fatto la fortuna del meranese. Ma ci volle tempo, perché la popolazione era assai diffidente verso qualsiasi novità, con il parroco Anton Santner impegnato in omelie contro lo “straniero” e “altre religioni”. Agli inizi degli anni Venti dell'800, Merano iniziò ad imprimere una definitiva svolta alla propria storia, grazie all'elezione del sindaco Josef Valentin Haller: primo cittadino fino al 1861! Quindi, in città si iniziarono a sperimentare le prime cure a base di latte, la cosiddetta “Molkenkur”, e uva, ovvero la ancor oggi attualissima “Traubenkur”. Con la costruzione dei primi hotel di medie dimensioni, in città gli albergatori iniziarono a proporre un menù più sofisticato, come ad esempio le zuppe di latte con crauti, Krapfen fritti nel burro e insalate, ma anche polente arricchite con altri ingredienti, spesso non locali. In città si leggeva e scriveva abbastanza, rispetto alla periferia, ma i meranesi, duecento anni fa, facevano pochissimo movimento, come appare dalle raffigurazioni d'epoca che ritraggono una popolazione rotondetta.

Birra vs vino.

Intanto, l'influenza dei bavaresi nell'alimentazione locale si iniziava a far sentire, tanto che a inizio Ottocento Merano poteva contare su undici locali con autorizzazione a mescere vino; nessuno però che offrisse birra, come notò l'astuto Josef Valentin Scheiggl, il quale all'inizio degli anni Venti divenne il primo mastro birraio della città. Produzione della birra, però, fortemente messa sotto controllo dalle autorità, perché considerata una bevanda pericolosa e in concorrenza con la crescente produzione vitivinicola.

Merano sembrava pronta per il primo e decisivo salto di qualità, quando, era la metà del secolo, in città arrivavano i primi personaggi illustri, attratti dal clima e, quindi, dallo sviluppo di interessanti centri medici e fisioterapici che proponevano cure alternative, come nel caso del venostano Bernard Mezegger, dottore a Milano che aprì il primo studio a Maia Alta nel 1840. Ancora pochi, gli ospiti. Si va dai quasi duecento nel 1820 ai 535 nel 1853, per arrivare ai 3102 del 1867, anno della inaugurazione della ferrovia del Brennero. Ospiti ricchi, perlopiù, i quali pretendevano di trovare in città quello che erano soliti mangiare nelle loro case, non essendo allora usuale modificare le usanze alimentari nel corso dei difficoltosi spostamenti, perlopiù in diligenza.

Cuochi al seguito.

Infatti, nei loro viaggi in città, molti personaggi illustri decisero di portare al seguito la servitù, i loro cuochi personali. Decisione che influì sullo sviluppo della gastronomia locale, ancora di qualità molto mediocre. Una offerta culinaria che di li a poco avrebbe iniziato a parlare quasi esclusivamente francese. A testimoniarlo, ma è solo uno tra i tanti esempi, il menù per il gala organizzato dall’Azienda di soggiorno in occasione dell’inaugurazione della linea ferroviaria Bolzano-Merano. Era il 4 ottobre 1881, duecento gli ospiti nelle sale del Kurhaus e Champagne a volontà. Nella carta, spiccava il caviale russo d'Astrakhan, la trota all'olandese, il filetto di bue accompagnato a un Bordeaux, il classico paté di fegato d'oca, insalata francese, budino d'ananas e liquori, ancora, francesi. Tutto, in una giornata di festa per l'evento, ma anche di pioggia battente, in una città che, fuori dalle mura del vecchio Kurhaus, festeggiava a vino, birra e würstel.

Esperienze all’estero.

Ai fornelli del più importante palazzo meranese, un personale che si era formato nei grandi hotel europei. Figli di concittadini, inviati a lavorare all'estero, poi ritornati in città con la voglia di riproporre quello che avevano imparato. Tra questi chef meranesi con esperienze internazionali, molte ragazze che nel c.v. - si direbbe oggi - potevano vantare soggiorni presso le più prestigiose famiglie nobili europee. Con lo sviluppo della gastronomia e la richiesta di alimenti pregiati e provenienti dall'estero, in città nascevano come funghi i primi negozi di “delikatessen”, ovviamente, fuori dalla portata del meranese comune, ma capaci di offrire il meglio dei prodotti gastronomici sul mercato. Anguille sudamericane in gelatina, salmoni norvegesi affumicati, prosciutto di Praga, petto d'oca francese, stracchino di Milano, fegato d'oca da Strasburgo, ma anche alcolici provenienti da tutto il mondo erano ormai di casa, a Merano. Una città che, quando doveva nutrire i suoi preziosi ospiti, parlava francese e serviva il meglio della gastronomia mondiale, in un'epoca dove il problema principale era la conservazione degli alimenti, oltre ai tempi di trasporto. Insomma, una città che da “Kuhstadt” era definitivamente diventata “Kurstadt” (città di cura), e nella quale si parlava francese, oltre alle due lingue locali.

Ad ogni modo, di li a poco, altre due rivoluzioni avrebbero cambiato ancora il volto della città sul Passirio. Prima, l'arrivo della comunità russa, con le sue usanze e costumi, e in seguito all'istituzione del treno diretto S. Pietroburgo – Merano. Poi, l'invasione della cucina italiana nelle tavole dei meranesi, all'inizio degli anni Venti del secolo scorso, come spiegato bene in un bellissimo volumetto della Accademia Italiana della Cucina “Aperitivo al Bristol”, nel quale si ripercorrono le tappe della gastronomia meranese, dal Medioevo fino ad oggi.

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