la storia

«Angeli e farfalle, le mie sculture d’acciaio e alluminio sembrano vive»

«Ho già due vite tra Città del Messico, Acapulco e Bolzano, trasformo fogli di metallo in opere d’arte, una grande passione», racconta Chelita Riojas Zuckermann


Valeria Frangipane


BOLZANO. «Alle spalle ho già due vite. La prima tra Città del Messico, dove sono nata, Acapulco, la Svizzera e la Germania dove ho studiato. Negli anni poi ho trovato un amore italiano e per lui ho cambiato continente, amici e lavoro. Oggi vivo a Bolzano e trasformo fogli di alluminio, acciaio inox e corten in sculture. Maneggio metallo nel mio laboratorio e a volte mi ferisco le mani, ma la mia è una grande passione». Le sue opere catturano la luce e la riflettono sono l’espressione dello spirito e della spiritualità del Messico. Opere leggere, che catturano i raggi del sole, mosse dall’aria che sembrano prendere vita. Chelita Riojas Zuckermann, architetto - in seconde nozze ha sposato l’imprenditore bolzanino Stefano Vanzo - è tra gli artisti che espongono a Unika, la fiera dell’arte in Val Gardena. Mercoledì 30 agosto, alle 17.30, si terrà a Ortisei l’inaugurazione della rassegna sempre più apprezzata a livello internazionale. «Per me una soddisfazione, vi partecipo con l’opera “Watch out!”, uno squalo in agguato». Chelita Riojas è anche membro della Künstlerbund.

La sua è una storia a cavallo tra le culture.
«Sì. Mio padre, Federico, era messicano, proprietario di un’azienda che produceva dischi in vinile. La famiglia di mia mamma Graciela, da parte paterna ha origini austroungariche, mio nonno è nato a Budapest, mentre mia nonna aveva antenati francesi e spagnoli. Sarà anche per questo che mi è sempre piaciuto scoprire mondi diversi. Giovanissima sono andata a studiare in Svizzera e poi a 18 anni ho vissuto un anno a Colonia». Chelita Riojas Zuckermann frequenta l’università, si laurea in architettura ed apre uno studio. «Ho lavorato tanto e con soddisfazione - racconta - anche ad Acapulco». Segue il tempo del primo matrimonio «dei miei tre splendidi figli», poi la vita rimescola le carte. Si chiude una pagina e se ne riapre un’altra. Inaspettata.

Nel 2004, il colpo di fulmine.
Ho conosciuto Stefano Vanzo che era in vacanza ad Acapulco con la figlia. Ci siamo trovati per caso a fare rafting nello stesso luogo, è stato un colpo di fulmine. Un anno dopo eravamo marito e moglie. Nel 2006 mi sono trasferita a Bolzano con i figli, erano piccoli. Parlavano spagnolo e francese, qui hanno imparato italiano, tedesco e inglese.

Come è stato il passaggio dal Messico all’Alto Adige?
La mia terra è splendida, ma a volte viverci è complicato. Qui ho trovato un mondo facile, dove tutto funziona, ma meno affettivo del mio. Le persone sono più chiuse, alla fine forse è anche un bene. Certo la convivenza tra italiani e tedeschi ha fatto bene a tutti e due. Gli uni hanno imparato a smussare qualcosa dagli altri.

Quando si è inventata la scultura?
In Alto Adige per me era complicato lavorare come architetto ed allora ho pensato di inventarmi qualcosa di diverso. Ricordo ancora il giorno in cui sono andata con Stefano da “Obi”, ho visto un foglio di metallo ed ho pensato che tra forbici e cesoie poteva nascere qualcosa di assolutamente unico e mio. E ce l’ho fatta. Oggi i pezzi più grandi vengono lavorati al laser.

Cosa ha iniziato a riprodurre?
Angeli (si è visto a lungo nella corte di Palazzo Campofranco). E poi agavi, cactus, farfalle, coccinelle, libellule, cavalli, aquile, tigri, delfini ecc. Sono stata ispirata dalla natura, fondamentale il senso di libertà, la mitologia, le leggende, la femminilità e la spiritualità.

Come nascono le idee?
Di notte. Mi sveglio e ho in mente quello che farò. Per tutte le mie opere, che siano piante, animali o persone studio bene la forma, le dimensioni e il movimento. Faccio ricerche sul significato del singolo soggetto, nella storia, nelle leggende e nelle diverse culture. Poi ne decido la grandezza e quindi faccio tutti i calcoli perché la scultura risulti armonica e proporzionata. Per le grandi opere in acciaio realizzo prima un modello in alluminio, lo disegno al computer perché l’acciaio si possa tagliare con il laser. Dopo vado in una carpenteria metallica a piegare e disegnare il metallo e montare la scultura con bulloni e saldatura.

In pochi anni ha già partecipato a numerose mostre ed esposizioni.
«Sì, è vero. Ho esposto opere in Messico, in Germania a Monaco di Baviera, negli USA a Palm Springs. E poi in Italia tra gli altri a Porto Rotondo (mie le due enormi agavi all’ingresso del consorzio e quella davanti alla chiesa parrocchiale). E ancora Bolzano, Milano, Roma, Torino, Perugia, Padova , Mantova ecc. Un delfino si trova al momento nel cento di Ortisei». E sono solo alcune. Due opere fanno già parte delle collezioni d'arte di due musei in Italia (Casale Monferrato) e in Messico.
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