IL LIBRO

I cloni rassegnati di Kazuo Ishiguro siamo noi



“Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro, Nobel per la letteratura nel 2017, è una splendida meditazione sulla caducità della vita, travestita da romanzo distopico.

La trama è nota, anche perché dopo il libro, uscito in Inghilterra nel 2005 e in Italia l’anno successivo, è stato girato anche un film, nel 2010. In breve sintesi, se all’inizio ci sembra di avere a che fare con un classico romanzo inglese, che racconta le piccole-grandi vicende che si svolgono all’interno di un college, dopo un po’ ci accorgiamo che c’è qualcosa di strano. Cos’è che disturba? Che non ci torna? Infine il mistero si svela: i ragazzi e le ragazze cresciute nel college sono in realtà dei cloni, allevati per poter fornire un giorno i loro organi agli esseri umani di cui sono la replica. Non vere persone, quindi. I loro ricordi sono posticci, e il loro destino già tracciato.

Molte cose colpiscono di questa dolente utopia negativa. Ad esempio la rassegnazione dei cloni, che a differenza di altri romanzi di fantascienza centrati sulla dialettica servo-padrone, non sono mai sfiorati dall’idea di ribellarsi. Quasi automatico pensare alla condizione umana, a come tante persone diano letteralmente la vita per altre, nelle situazioni più diverse, accettando il loro destino. Ma – fatte le dovute proporzioni - non accade così anche per gli animali? Molti di loro non sono allevati per essere un giorno “sacrificati” ai bisogni dell’essere umano?

Questo però è solo il primo livello di decodificazione. Il secondo riguarda le speranze che alcuni dei protagonisti del romanzo coltivano. Ciò che hanno sentito è che se una coppia di cloni dimostra di amarsi veramente, potrà ottenere una “proroga”. E come può questa cosa essere dimostrata? Attraverso l’arte, disciplina a cui nel college gli studenti vengono incoraggiati dai loro tutori. L’amore e l’arte come strumenti salvifici, insomma, di contro alla ferrea logica della scienza, ma soprattutto alla legge implacabile della sopravvivenza individuale.

C’è infine un terzo livello, che è quello a cui accennavo in apertura. Il romanzo di Ishiguro ci parla, con delicatezza e rispetto (“tutti orientali”, mi verrebbe da aggiungere, se non fosse terribilmente banale) della condizione umana. Siamo noi i cloni che, giorno dopo giorno, conduciamo la nostra vita senza ovviamente ribellarci alla morte, perché in tal caso impazziremmo, ma cercando semmai di aggirarla o di nasconderci ad essa. Siamo noi a cercare caparbiamente una “proroga”, e a farlo attraverso gli affetti, ma anche attraverso l’espressione di noi stessi, quindi amando e creando. E siamo sempre noi a ripetere a chi ci sta accanto “Never Let Me Down”, non lasciarmi andare, no, per favore, non lasciarmi.

Uno dei grandi titoli del XXI° secolo.

 













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