Il campanile nel nulla d’acqua conquista anche Balzano 

Il vincitore del Premio Campiello da oggi in libreria con il nuovo libro “Resto qui” Si allunga la serie dei romanzi ambientati in Alto Adige, e anche qui tocca a Curon


di Carlo Martinelli


BOLZANO. Nell’estate del 2014 a Curon Venosta (Graun im Vinschgau, in tedesco) arriva un turista che è insegnante a Milano, nonché romanziere, saggista, poeta. In quel giorno di quattro anni fa non immagina che il suo romanzo appena pubblicato, “L’ultimo arrivato”, avrebbe poi vinto il Premio Campiello. Forse intuisce subito, invece, che l’essere capitato in quel luogo dell’Alto Adige è uno di quei casi che lasciano il segno, eccome. Lo ricorda bene, Marco Balzano, quel giorno: «Nel piazzale i pullman scaricavano visitatori, di fianco arrivavano e ripartivano frotte di motociclisti. C’è un pontile che il luogo ideale per fotografarsi col campanile alle spalle. Lì la coda per farsi un selfie è sempre piuttosto lunga. Quella coda di gente armata di smartphone è stata l’unica immagine che sia riuscita a distrarmi dello spettacolo del campanile sommerso e dell’acqua che nasconde i vecchi borghi di Resia e Curon. Non so trovare nulla che dimostri più chiaramente la violenza della storia. Da quell’ estate ad oggi sono tornato diverse volte a Curon e quando ero lontano il pensiero e l’immagine di quel paese di montagna sull’orlo del confine svizzero è austriaco mi hanno accompagnato senza sosta. Per un paio d’anni ho studiato tutto quello che ho potuto, ogni testo e documento che ho trovato. Mi sono fatto aiutare da ingegneri, storici, sociologi, insegnanti, bibliotecari. E soprattutto ho ascoltato i testimoni, oggi anziani, di quegli anni violenti. Avrei voluto anche intervistare qualcuno dell’Edison - l’ex Montecatini, la grande azienda che ha portato avanti la costruzione della diga - ma nessuno ha mai ritenuto di concedermi un incontro, né di rispondere alle mie mail o alle mie telefonate. Peccato, sarebbe stato di grande interesse consultare i loro archivi e porre qualche domanda. Per esempio: in che modo e perché sono morti 26 manovali durante i lavori? Con quanta attenzione sono state valutate le conseguenze sociali, economiche, psicologiche degli espropriati?

L’ azienda riconosce responsabilità etiche e morali nelle comunicazioni fatte alla popolazione visto che sono tutte avvenute in una lingua che gli abitanti non intendevano? È vero, come riporta il quotidiano Dolomiten del 7 settembre 1950, che dieci giorni dopo la sommersione di Resia e Curon la Montecatini ha realizzato una gara di vela sul lago?».

Sì, è stato decisamente un giorno importante, nella vita di Marco Balzano, quel giorno d’estate del 2014. Quel campanile che emerge dall’acqua - una delle icone turistiche dell’Alto Adige, inutile negarlo - per lo scrittore ha significato altro. Il suo cuore, la sua immaginazione, la sua sensibilità sono rimaste su quel piazzale, non se ne sono mai andate di lì, a ben guardare. E forse soltanto oggi, oggi che nelle librerie arriva il suo nuovo, atteso romanzo, la pacificazione può avvenire. La lettura del suo “Resto qui” - lettura appassionante, pagine che catturano, personaggi che ti si stampano davanti - è viaggio in una testimonianza che non è solo letteratura (buona letteratura), ma anche etica, umanità, condivisione.

Fin troppo facile la previsione: “Resto qui” (Einaudi editore, 192 pagine, 18 euro) è destinato al successo. Viene naturale collocarlo nel solco segnato da Francesca Melandri con “Eva dorme”. E, anche in questo caso, un personaggio femminile a giganteggiare. Trina. La troviamo nella primavera del 1923 mentre si prepara all’esame di maturità. Lei è la figlia di un falegname di Curon e il fascismo le impedirà di fare la maestra, visto che parla tedesco. Insegnerà invece il tedesco, clandestinamente, in una delle tante Katakombenschulen di matrice cattolica con le amiche del cuore, Maja e Barbara. Aiuta il marito, Erich, nei lavori nei campi e nell’accudire mucche e pecore nella stalla. Ma la storia bussa alle porte anche di un piccolo paesino quale Curon. Il fascismo prima, l’italianizzazione, le Opzioni, la guerra, l’Alpenvorland, i nazisti, la fuga in montagna con il marito disertore, il dopoguerra. Trina è donna coraggiosa, che ascolta la natura e fa parlare i sentimenti. Nelle dense pagine di un romanzo avvolgente, Balzano la fa continuamente dialogare a distanza con Marica, l’amata figlia (c’è anche un figlio, Michael, che coltiverà simpatie naziste) che nei giorni drammatici delle Opzioni sceglie di andarsene (o è costretta?) con dei parenti austriaci, promettendo un ritorno chissà mai se destinato ad avverarsi. Nei giorni della faticosa ricostruzione, a Curon la gente del posto deve fare i conti con la costruzione della diga. E quando le acque stanno per sommergere i campi e le case, Trina si difende con ciò che nessuno le potrà mai togliere: le parole. «Se per te questo posto ha un significato, se le strade e le montagne ti appartengono, non devi aver paura di restare». Ma la ferita è ormai riaperta, per sempre, lacerante, in una terra che di lacerazioni già ne conta, eccome. E quando Trina, ormai anziana, sepolto il marito, si trova a fare due passi e costeggia il lago artificiale, vede “i villeggianti che si scattano le foto con il campanile alle spalle, fanno tutti lo stesso sorriso deficiente. Come se sotto l’acqua non ci fossero le radici dei vecchi larici, le fondamenta della nostra case, la piazza dove ci radunavamo. Come se la storia non fosse esistita”. Eppure tra quei turisti c’è stato, in un giorno d’estate del 2014, uno scrittore che ha voluto conoscere quella storia e l’ha voluta restituire, per ricordarci appunto che la storia non va dimenticata. Quel giorno Marco Balzano ha sentito che sotto l’acqua si agitavano storie e persone, memorie e dolori, gioie e rabbie. Quel giorno è restato lì, ha incontrato Trina. Da oggi, in libreria, tutti possono incontrarla.















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