L’illuminismo di Leonardo Sciascia a cent’anni dalla nascita

Roma. Uomo semplice e intellettuale complesso, capace di provocare dibattiti fruttiferi, narratore e saggista, che riesce spesso a fondere queste due anime, per indagare la realtà e le sue ipocrisie...



Roma. Uomo semplice e intellettuale complesso, capace di provocare dibattiti fruttiferi, narratore e saggista, che riesce spesso a fondere queste due anime, per indagare la realtà e le sue ipocrisie «anche a costo di fraintenderla», tanto da suscitare alcune dure polemiche con le sue prese di posizione sulla politica e sulla giustizia, Leonardo Sciascia è una di quelle figure esemplari del secondo Novecento e di cui sentiamo l’assenza in un dialogo politico e sociale oggi tanto impoverito, celebrando venerdì 8 gennaio i cento anni dalla sua nascita a 31 dalla sua scomparsa nel 1989. Come narratore esordisce con libri dedicati alla sua Sicilia, cominciando con i suoi ricordi di maestro in Le parrocchie di Regalpetra (cittadina dietro cui si nasconde la sua natale Racalmuto in provincia di Agrigento) e “Gli zii di Sicilia”. Da lì viene il suo impegno nel cercar di raccontare e spiegare i segreti e i meccanismi di potere nella sua terra, a partire da quello mafioso che tutto contamina (“Il giorno della civetta” e “A ciascuno il suo” nei primi anni ’60) e poi, allargando la sua paziente esplorazione, nell’Italia democristiana e socialista in genere (“Il contesto”, “Todo modo”, poi “L’affaire Moro” negli anni ’70), con risultati a volte accolti come provocatori.

Sciascia, nato nel 1921, consegue il diploma magistrale nel ’41 e lavora al Consorzio Agrario a Racalmuto, conoscendo la realtà contadina e la società siciliana delle campagne, fino al 1949 quando diviene maestro elementare. Come scrittore debutta nel 1950 con un volume di poesie, “Favole della dittatura” (recensito da Pasolini), e quindi con “Gli zii di Sicilia”, racconti di rivisitazioni storiche con l’ottica di proletari siciliani cui seguiranno i due successivi gialli sulla mafia, più riusciti e compiuti, dopo i quali e dopo i saggi Morte dell’inquisitore e Feste religiose in Sicilia, nel 1969 inizia a collaborare col Corriere della Sera. Arriveranno quindi i due racconti sempre tinti di giallo La scomparsa di Majorana e Il teatro della memoria, prima del suo impegno attivo in politica che lo vede eletto consigliere comunale a Palermo nel 1975 come indipendente del Pci, poi nel 1969 la candidatura nelle liste radicali in Europa e alla Camera, per la quale opta dopo due mesi a Strasburgo, finendo negli anni ’80 per esprimere pubblicamente le sue simpatie per il Psi e chiedendo candidamente a Craxi di rinnovare la classe politica siciliana, attirandosi ironie e attacchi. Così è contro il Pci del compromesso storico, poi è perché si tratti con le Br per Moro, è critico verso i riconoscimenti al pentitismo, si attribuisce a lui l’affermazione «Né con lo Stato né con le Br» e denuncia alla Camera la possibilità di torture nella lotta al terrorismo.

Per alcuni versi i gialli di Sciascia sono anticipatori di quella linea poi del noir mediterraneo (da Izzo a Carlotto) che userà il genere per farne denuncia civile, sociale e di costume. In questa ottica, complementare tema di Sciascia è certamente l’importanza del ricordare, della memoria, e La Memoria chiamerà la collana che ideerà e dirigerà per l’editore Sellerio.













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