L’INTERVISTA»RENZO MOTTA E LE FORESTE DELLE DOLOMITI

BOLZANO . Il disastro della Val di Fiemme. Lo scempio di Carezza. Questo è quello che abbiamo sotto gl’ occhi, i paesaggi che c’ erano e che non ci sono più. Passata l’ emozione dobbiamo anche...


di Mauro Fattor


BOLZANO . Il disastro della Val di Fiemme. Lo scempio di Carezza. Questo è quello che abbiamo sotto gl’ occhi, i paesaggi che c’ erano e che non ci sono più. Passata l’ emozione dobbiamo anche renderci conto che quello che è accaduto nei boschi delle Dolomiti è parte di qualcosa di più grande, di più esteso, che ha toccato quasi tutto l’ arco alpino centro-orientale. A fare il punto della situazione è un accurato lavoro scientifico a più mani pubblicato da pochissimi giorni e che vede come coordinatore Renzo Motta, del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’ Università di Torino. L’ abbiamo intervistato.

Professore, facciamo un passo indietro. Cosa è accaduto tra il 28 e il 30 ottobre scorsi?

«È accaduto che ampie zone delle Alpi orientali sono state interessate da venti che hanno superato i 200 km orari ed hanno provocato dei danni gravissimi alle foreste in particolare della Lombardia, del Veneto, del Friuli Venezia-Giulia e da voi, in Trentino-Alto Adige. L’evento, chiamato dai meteorologi “tempesta Vaia”, ha provocato secondo le prime stime l’abbattimento di 6-8 milioni di metri cubi di legname ed è sicuramente il più importante disturbo da vento avvenuto recentemente in Italia, anche perché ha interessato foreste che, oltre ad essere tra le più belle e famose delle Alpi, fanno parte di un paesaggio che è un patrimonio culturale e naturalistico di valore inestimabile».

Lei sostiene però che, per quanto grave, se allarghiamo il nostro orizzonte spazio-temporale, dobbiamo guardare a quanto accaduto con occhi un po’ diversi.

«Sì è così. Eventi di questo tipo, dati alla mano, non così rari e così lontani dalle nostre regioni. Il vento in Europa è il principale fattore di disturbo e agente di danno agli alberi (oltre il 50% del totale) con una media di due tempeste catastrofiche, come quella che ha colpito il Trentino-Alto Adige, ogni anno. In totale, il volume di bosco distrutto dal vento in Europa è di circa 38 milioni di metri cubi all’anno. In confronto, gli incendi sono responsabili del 16% dei danni subiti da boschi e foreste, cioè il vento fa tre volte i danni prodotti dalle fiamme. Il nord-est è stato interessato in tempi relativamente recenti , parliamo del 4 novembre del 1966, da un altro evento avente una magnitudo paragonabile alla tempesta Vaia. In quel caso furono atterrati solo in Trentino circa 700.000 metri cubi di legname, oltre a 1.300.000 metri cubi nella vicina Austria. Anche escludendo eventi più remoti, di cui pure si ricordano le conseguenze ancora oggi, negli ultimi 30 anni, un periodo relativamente ridotto se rapportato alle dinamiche forestali, in Europa si sono verificati almeno quattro fenomeni che hanno avuto un impatto molto superiore a quello che ha interessato le regioni del nord-est».

Ma quali sono i fattori che influenzano il verificarsi di danni così importanti alla foresta da parte del vento?

«I fattori possono essere divisi in 4 gruppi: condizioni meteorologiche, condizioni stazionali, topografia e struttura del popolamento forestale».

Questi quattro fattori come si combinano e cosa determinano?

«Dal punto di vista della struttura è evidente che ci sono popolamenti più facilmente interessati da schianti rispetto ad altri. In questo caso i fattori importanti sono l’altezza dell’albero, con le probabilità di schianto che aumentano in modo esponenziale con l’altezza della pianta; la specie, ovvero il tipo di apparato radicale, la forma della chioma e la resistenza meccanica del fusto; le condizioni fitosanitarie e la struttura verticale del popolamento. Questo perchè popolamenti puri, monostratificati e fitti sono più facilmente soggetti a schianto rispetto a popolamenti misti e pluristratificati. In Italia ci sono aree che storicamente, sia per fattori meteorologici, topografici e stazionali e sia per la struttura dei popolamenti forestali, sono particolarmente sensibili ai danni da vento. Tra queste sicuramente c'è la Valle di Fiemme, dove il problema della vulnerabilità delle estese foreste monostratificate di abete rosso è oggetto di discussione da anni».

Il discorso sulla Val di Fiemme è chiaro. Gli schianti dell’ ottobre scorso però hanno però interessato una grande varietà di categorie forestali, tipi strutturali e settori altitudinali. Si va dalle peccete montane pure ai boschi misti, foreste monostratificate e pluristratificate, coetanee e disetanee. Insomma, è venuto giù un po’ di tutto.

«Sì, ed era inevitabile. Quando il vento supera una certa soglia, i fattori strutturali come l’ altezza dell’albero, la specie, il diametro, svolgono un ruolo marginale, in quanto le forze di resistenza della pianta sono di gran lunga inferiori a quelle esercitate dalla massa d’aria. Questa soglia è stata calcolata in circa 94-100 km orari per il singolo albero e può salire fino a circa 150 km orari per boschi particolarmente resistenti. Al di sotto di questi limiti la vulnerabilità degli alberi e dei boschi ai danni da vento può essere significativamente ridotta con una attenta gestione forestale mentre al di sopra della soglia i popolamenti forestali, indipendentemente dalla struttura e composizione, non sono in grado di resistere alla forza del vento».

Qui la forza eravamo ben al di sopra di quelle soglie di velocità del vento...

«Molto al di sopra. In generale possiamo dire che la magnitudo e la frequenza di eventi meteorologici di forte intensità sta cambiando a causa dei cambiamenti climatici. Nel caso di Vaia, l’attribuzione quantitativa di una relazione tra velocità del vento e cambiamenti climatici è difficile, ma il ruolo di un’estate molto più calda della media e il conseguente riscaldamento prolungato delle acque del Mediterraneo è un forte candidato a spiegare la particolare intensità dell'evento. Parallelamente, negli ultimi decenni è aumentata anche la vulnerabilità delle foreste europee agli schianti da vento e agli incendi, ma questo anche perchè è aumentata la superficie coperta da foreste, la biomassa per unità di superficie, l’età media e l’altezza media dei popolamenti forestali. Con l’aumento di frequenza e intensità dei disturbi, occorrerà tenere in maggiore considerazione anche le interazioni che possono verificarsi tra diversi agenti: eventi severi come Vaia potrebbero avere, o avranno quasi certamente, altre conseguenze, come un’ eplosione di bostrico tipografo, un coleottero tipico delle foreste di abete rosso in grado di fare enormi danni, o la diffusione di incendi boschivi. Gli schianti da vento sono comunque un fenomeno naturale e la maggior parte delle foreste danneggiate sono in grado, con i tempi delle dinamiche forestali, di rinnovarsi e di ricrescere».

Sono tempi lunghi, molto lunghi. In alcuni casi, forse troppo. C'è modo di accelerare il processo di rinnovazione?

«È evidente che in molte situazioni, sia per le funzioni ecosistemiche richieste e sia per la necessità di garantire sicurezza ed adeguata qualità della vita alle popolazioni locali, è necessario intervenire per ritornare, nel più breve tempo possibile, ad una copertura forestale adeguata. In questi ultimi decenni le Alpi, soprattutto nel versante nord, sono state interessate da diverse tempeste che hanno permesso di acquisire esperienze e dati quantitativi sulle modalità di ripristino. Ad esempio la tempesta Viviane del 1990 in Svizzera ha provocato danni maggiori di Vaia ed ha permesso di analizzare performance della rinnovazione artificiale e della rinnovazione naturale, modalità di rimozione del materiale schiantato, e impatto degli ungulati selvatici. Partendo da questa e da altre esperienze recenti, il recupero e la ricostituzione del bosco deve partire da un’analisi quantitativa e qualitativa delle aree interessate dalla presenza di schianti e prevedere una serie di priorità».

Tradotto in pratica?

«Tradotto in pratica significa che già a partire dalle fasi di sgombero del materiale schiantato è necessario tenere conto anche della funzionalità bio-ecologica del bosco e della sua complessità, elemento indispensabile per garantire maggiore resistenza e resilienza ai popolamenti forestali. Sotto questo aspetto è opportuno favorire, dove possibile, i processi di rinnovazione naturale. Va anche tenuto presente che il recupero di legname dopo eventi come questo può, in assenza di precauzioni, provocare danni ambientali come è stato ampiamente discusso e dimostrato in questi ultimi decenni. Gli schianti da vento, come molti disturbi naturali, provocano dei danni economici e sono degli importanti fattori di rischio per la popolazione ma, dal punto di vista ecologico, rappresentano un nuovo inizio ed una nuova opportunità per l’ecosistema».

È sempre così. In linea generale ogni crisi rappresenta anche un'opportunità. Solo per l’ ecosistema o anche per noi?

«Le due cose sono inscindibili. Un evento come quello dell' ottobre scorso è un’occasione anche per l’uomo. Superata la fase di emergenza, che in questo momento è prioritaria rispetto a ogni altra considerazione, Vaia fornirà l’occasione per adeguare strutture e gestione forestale agli scenari di cambiamento climatico. Infatti, se da un lato dobbiamo riconoscere che con venti che superano i 200 km orari o con lunghi periodi di siccità e temperature elevate è praticamente impossibile evitare danni ai boschi, è però nostra responsabilità lavorare per aumentare la resistenza e la resilienza dei popolamenti forestali a disturbi di minore intensità che, a causa del cambiamento climatico, aumenteranno di frequenza nei prossimi decenni».

Val di Fiemme e foresta di Carezza hanno colpito l’ immaginario di tutti. Cosa si deve cambiare nella gestione forestale?

«Occorre trovare un maggiore equilibrio tra produzione di legname di qualità e resilienza nei confronti dei disturbi, ad esempio con una maggiore attenzione alla rinnovazione naturale e a popolamenti misti, che è la linea che da anni segue la Provincia di Trento».

Vaia farò crollare il mercato del legname?

«Vaia avrà conseguenze importanti su scala regionale e sul breve periodo che possono essere mitigate da una attenta politica, ma non avrà conseguenze sul mercato continentale in quanto la mole di schianti precedenti all’arrivo della tempesta sulle Alpi, aveva già portato sul mercato europeo oltre 51 milioni di metri cubi di legname».













Altre notizie

Attualità