«Bolzano è la mia città e resta nel mio cuore» 

Il giocatore russo è stato uno dei protagonisti del Bolzano degli anni ’90


di Marco Marangoni


BOLZANO. «Numero dieci, Nummer zehn, Sergej Leontjevic Vostrikooovv!!!». Lo presentava così Oscar Dalvit, lo speaker di allora, quando il fuoriclasse entrava sul ghiaccio. «Ce l’ha dato ce l’ha dato ce l’ha dato Vostrikov… Vostrikov!», era l’indimenticabile coretto col quale lo esaltava il fantastico pubblico del Palaonda. Sergej Vostrikov è stato uno degli artefici più importanti della grande epopea dell’Hockey Club Bolzano negli anni ‘90. Per il movimento biancorosso, e non solo, è ancor oggi una leggenda vivente. Sergej con Igor Valentinovic Maslennikov, l’inseparabile compagno di linea, hanno portato l’hockey-spettacolo dalla Grande Madre Russia. Sergej e Igor erano il “Volga Express” che giocavano in simbiosi con Martin Pavlu. Insomma, un trio delle meraviglie che possiamo definire la linea d’attacco più forte di sempre del Bolzano. Grandi giocate, tante emozioni che ancor oggi fanno venire la pelle d’oca. Sergej Leontjevic, dotato di un’eccellente pattinata e di un gioco di stecca sopraffino, lo abbiamo rintracciato nell’Estremo Oriente russo sulla sperduta isola di Sakhalin, quella nota per aver ospitato uno dei più atroci “katorga”, i campi di lavoro penale ai tempi dell’Impero zarista. Dopo essere stato coach nella Vysšaja Chokkejnaja Liga, la lega cadetta della KHL, prima nel Lada Togliatti e poi nel Molot-Prikamie Perm, da quest’anno Vostrikov è approdato allo Yuzhno-Sakhalinsk, unica società russa che prende parte all’Asian Hockey League dove militano team giapponesi e sudcoreani.Era il 20 agosto del 1992 quando Sergej arrivò a Bolzano proveniente da Mosca, sponda Cska. Con lui c’era ovviamente anche Maslennikov. Questo doppio ingaggio, alla vigilia un po’ un salto nel buio perché nessuno li conosceva, cambiò per il successivo decennio (e anche oltre) le sorti della società biancorossa che proprio qualche settimana aveva meditato di non iscriversi al campionato. Motivo? I conti erano in rosso. La squadra dell’anno precedente era costata troppo. La stella Scott Young era stato il giocatore più pagato dal Bolzano, mentre Mark Taylor (solo cinque partite), Dave Archibald e Doug Shedden avevano fortemente deluso. Vostrikov tra il settembre del 1992 e l’aprile del 1999 giocò con la maglia del Bolzano 266 incontri ufficiali segnando 269 reti e fornendo 293 assist.

Cosa ha spinto lei e Maslennikov di lasciare il glorioso Cska di Mosca per venire a Bolzano?

«In quegli anni in Russia non pagavano tanto. Diciamo che il Cska aveva dismesso parte della squadra, i giocatori erano andati in Germania e Svizzera. Abbiamo accolto l’invito del Bolzano e siamo venuti. Con Igor giocavamo assieme sin dai tempi della scuola».

Che anni sono stati a Bolzano?

«Sono stati anni bellissimi, ricordo tanti momenti e il magico pubblico. Bolzano resta la mia città. Di Bolzano mi piace tutto, il tempo e la bella gente, per questo ho sempre tanta nostalgia. I miei compagni di squadra li ricordo con piacere. Come non ricordare Martin (Pavlu), Roby (Oberrauch), Rosati, Zarrillo o Beattie e le gite al lago di Garda e in montagna. Scherzavamo, ci divertivamo, eravamo una grande famiglia».

Sotto l’aspetto sportivo qual è stato il momento più bello?

«Le finali con Milano ma ce ne una in particolare, la finale del 1995 contro Varese. Gara 5 è stata fantastica».

Lei quella sera ha segnato tre dei cinque gol del Bolzano.

«Ricordo. Siamo andati due volte in svantaggio e altrettante volte ho segnato il pareggio. Poi quell’errore di Casciaro in difesa ha consentito a Igor di recuperare un disco, me lo ha passato e ho segnato il 4 a 3. Un gol che mai dimenticherò. Quella sera il Bolzano tornò campione dopo cinque anni di egemonia milanese».

La rete che poi le fece fare quei “passetti di gioia” dietro alla porta di Greco?

«Si, è vero. Dopo averla segnata sono andato subito ad abbracciare Igor».

Ci faccia gustare qualche grande nome dell’hockey prima sovietico e poi russo.

«Quando giocavo nel Khimik Voskresensk non posso dimenticare le tre vittorie e il pareggio in campionato contro il Cska di Khomutov, Fetisov, Kasatonov, Makarov, Larionov e Kamensky. L’anno successivo l’allenatore del Cska, Tikhonov mi chiamò. Impossibile dirgli di no. Siamo arrivati secondi battuti solo dalla Dynamo Mosca ma quelle sette partite e sei vittorie contro le squadre di NHL (Detroit, Chicago, Washington, New York Rangers, Vancouver ed Edmontom, ndr) resteranno per me, ma anche per l’hockey russo, nella storia. Alla prima partita contro Detroit la nostra attrezzatura non era arrivata. Non potevamo cambiare la data, gli oltre 9.000 biglietti erano già stati venduti. Siamo scesi sul ghiaccio con pattini e stecche nuove ma alla fine abbiamo vinto 5 a 1».

Chi è stato l’allenatore che ha dato la svolta alla sua carriera?

«C’è un solo nome, Viktor Tikhonov, una leggenda. Poi ci sono stati anche Vladimir Vasiliev, il coach del mondiale juniores, Ron Ivany, il mio primo allenatore a Bolzano, e Bob Manno che da Bolzano mi ha portato con lui ad Augsburg».















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