Caso Schwazer, solo indizi niente prove 

Mesi di analisi di laboratorio sulle urine dell’ex atleta hanno solo aumentato i sospetti del grande complotto: ma non basta


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Sul caso Schwazer la scienza potrebbe risultare insufficiente e non in grado di raggiungere una verità giuridicamente fondata sull’ipotesi di una manipolazione delle urine che stroncarono la carriera sportiva dell’ex marciatore azzurro. Dai laboratori dei Ris di Parma ieri sono trapelate importanti anticipazioni sull’esito della super perizia affidata dal giudice Walter Pelino al colonnello Giampietro Lago, comandante del reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri, e al professor Marco Vincenti, docente del dipartimento di chimica dell'Università di Torino e direttore del laboratorio regionale anti doping. Il risultato di mesi di accertamenti di laboratorio non avrebbero portato ad un risultato certo. Nell’elaborato i due periti hanno pienamente confermato quanto era trapelato prima dell’estate e cioè che dalle analisi emergono situazioni palesemente anomale che però possono costituire solo indizi circa una possibile manipolazione dei liquidi organici dell’atleta ma nessuna certezza. La perizia dunque non sembra fornire gli elementi probanti che gli avvocati di Alex Schwazer si attendevano. Quali sono gli elementi palesemente anomali emersi? In primo luogo l’insolita concentrazione di Dna di Alex Schwazer riscontrata nelle urine che portarono alla nuova accusa di doping. Come si ricorderà, era il 21 giugno 2016 quando venne diffusa la notizia della nuova positività di Alex Schwazer a seguito di un controllo effettuato il primo gennaio precedente.

Su quel campione di urine (prelevato dopo una notte di festeggiamenti per Capodanno) il primo controllo era risultato negativo ma in una successiva analisi (decisa a distanza di alcuni mesi) era stata riscontrata la presenza di metaboliti del testosterone. Da subito Schwazer e il suo staff parlarono di trappola e manomissione, ma tutte le iniziative messe in atto dal campione e dal suo legale, l’avvocato Gerhard Brandstätter, non furono sufficienti a far revocare la squalifica e permettere all’atleta di gareggiare a Rio.

Il successivo esposto penale portò all’avvio dell’inchiesta tutt’ora in corso con la decisione del giudice Walter Pelino di disporre una super perizia sulle provette di urina di Schwazer. Ci sono voluti mesi per ottenere la consegna di una parte dei contenuti delle provette al laboratorio di analisi del Ris. Per mesi la Iaaf e il Laboratorio di Colonia hanno provato a sottrarsi alle disposizioni del Tribunale di Bolzano, con veri e propri scontri giuridici. Ora si inizia a capire il perché di quella resistenza.

Nei campioni di urina di Schwazer la concentrazione di Dna sarebbe risultata centinaia di volte superiore alla norma nelle urine (soprattutto in relazione alla conservazione in frigo per 26 mesi); in secondo luogo sarebbe emersa una differenza rilevante di concentrazione sempre di Dna riscontrata tra il campione A ed il campione B. Nel secondo il livello di concentrazione di Dna sarebbe superiore di oltre tre volte rispetto al campione A. Si tratta, come detto, di indizi scientifici che possono far ipotizzare una manipolazione del campione ma che non hanno portato ad alcun risultato ad un risultato certo sotto il profilo scientifico.

Secondo quanto trapelato non sarebbero state sufficienti neppure le analisi effettuate sulle urine (separate in due campioni) di un centinaio di persone.

L’esito della super perizia verrà illustrato e discusso in aula venerdì prossimo davanti al giudice Pelino. E’ probabile che gli avvocati di Alex Schwazer puntino ad ottenere dal magistrato un supplemento di accertamenti scientifici, nel tentativo di non lasciare nulla di intentato per arrivare alla verità. In caso contrario l’indagine sembra destinata ad una inevitabile archiviazione per l’impossibilità di provare la tesi del grande complotto ai danni dell’ex atleta altoatesino.

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