Sanità

Burocrazia e carichi eccessivi, la crisi dei medici di famiglia

All’Asl mancano 81 professionisti. A Bolzano la carenza è di 11, a Merano 6, a Bressanone 6. In queste ultime settimane in città due rinunce: lascia una dottoressa di 63 anni e una giovane poco più che trentenne


Valeria Frangipane


BOLZANO. La crisi dei medici di famiglia è seria. In Alto Adige ne mancano un'ottantina. Posti tutti banditi da tempo, ma solo parzialmente assegnati. I problemi maggiori si registrano a Bolzano, dove mancano 11 professionisti, Merano (ne mancano 6), Bressanone (altri 6), Appiano (4), Laives (3), alta Val d'Isarco (6), valle Aurina (4), media val Venosta (4) e alta val Venosta (6). E in queste ultime settimane Bolzano registra due rinunce con centinaia di assistiti alle prese con il cambio del medico. Impresa sempre più ardua e complicata, soprattutto per gli anziani, anche perché è veramente difficile trovare altri professionisti con posti liberi. Il 29 dicembre lascia dunque la dottoressa Ingrid Windisch - 63 anni - con ambulatorio al "Grieserhof" - che in televisione parla di troppa burocrazia, carichi di lavoro eccessivi, dell'impossibilità di fare le ferie perché non si trovano sostituti. Windisch continuerà a lavorare in casa di riposo e come volontaria del centro anti violenza. Il 31 dicembre lascerà Elisa Ferrandi, poco più che trentenne. L'Asl ha mandato una lettera a tutti gli assistiti, annunciando che la dottoressa cesserà l' attività in convenzione, «possibile scegliere un altro medico del suo ambito territoriale di competenza, che abbia posti liberi». Questo è il problema maggiore.

Rubino (Fimmg): nel post Covidpazienti provocatori e aggressivi

«Troppa burocrazia, troppe ore di lavoro, troppi pazienti e poi nel post Covid gli assistiti sono diventati più esigenti, con richieste irricevibili, talora provocatori ed aggressivi. Viene preteso ciò che non può essere sempre garantito». Per Luigi Rubino, segretario Fimmg (Federazione medici di medicina generale), il medico di famiglia pur avendo il massimo gradimento nei vari sondaggi demoscopici, non si vede più riconosciuti impegno ed autorevolezza. «Addirittura c'è chi lo accusa di lavorare poco, quando invece la realtà è che ogni medico tra assistenza ambulatoriale, domiciliare, assistenza in case di riposo, corsi d'aggiornamento, servizio di continuità assistenziale notturna e festiva - arriva ad un impegno di circa 10-12 ore quotidiane. Inoltre, è vero, si fa un'enorme difficoltà a trovare sostituti in caso di malattia o ferie. Ci sono inoltre molte colleghe che hanno enormi difficoltà a rendere compatibili l'assistenza ai pazienti e la gestione familiare». Uno scenario già preoccupante che peggiorerà ancora. «Molti colleghi sono prossimi alla pensione ed è praticamente impossibile garantire un pieno ricambio generazionale». Che dire dei giovani appena affacciati alla professione? «Che si sono trovati al primo incarico il massimo dei pazienti (più di 1.500) a differenza della mia generazione, che dopo 3 anni riusciva a malapena ad arrivare ad assisterne 500-800. Eravamo una folla, oggi il contrario».

Piccoliori: il lavoro va scaricato di burocrazia e reso attraente.

«C'è un grosso problema di ricambio generazionale, di vocazioni. Che riguarda tutta Europa. Ma non solo». Giuliano Piccoliori, medico di famiglia in Gardena e responsabile scientifico dell'Istituto di Medicina Generale e Public Health presso la Claudiana, ha una certezza: l'immagine del medico di famiglia deve essere rivalutata ed il suo lavoro scaricato di burocrazia e reso più attraente. «In Veneto stanno facendo l'esperienza delle medicine di gruppo integrate che hanno migliorato la qualità dell'assistenza e addirittura ridotto la mortalità degli assistiti». L'Italia - rispetto al resto d'Europa - ha un problema in più perché la Medicina generale non viene considerata disciplina accademica (come ad esempio Medicina interna, Dermatologia ecc.) e quindi la formazione non conferisce un titolo di specialità (siamo rimasti gli unici in Europa). Il ministro della Salute parla ad ogni piè sospinto di specialità in Medicina generale, speriamo che finalmente si realizzi. Il nostro Istituto è pronto a fungere da testa di ponte. Anche la formazione di base è ospedalocentrica e spesso i colleghi che lavorano in corsia hanno una bassa considerazione di noi». Poi va rivista l'organizzazione del lavoro. «La burocrazia è aumentata così tanto come pure il numero degli accessi, che abbiamo assolutamente bisogno di personale amministrativo, ma anche di infermieri che ci supportino. I giovani medici vogliono lavorare in gruppo e disporre di tecnologia per la diagnostica di base come elettrocardiogramma, ecografo e spirometro per il cui utilizzo è necessario personale infermieristico. I nostri medici chiedono di poter lavorare come fanno i colleghi nel resto d'Europa in strutture complesse ma senza troppi oneri burocratici ed organizzativi. Per onestà intellettuale bisogna però ammettere che anche nel resto d'Europa sono in crisi di vocazioni. E va anche detto - chiude - che i futuri medici non possono essere mandati allo sbaraglio senza essere adeguatamente preparati da colleghi esperti, altrimenti vanno incontro a sicuro burn out».













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