Protagonista di stagioni irripetibili

Giorgio Pasquali era Bolzano. Era una precisa idea di Alto Adige e di regione. Era questa comunità. Era il dialogo, l'entusiasmo, la voglia di guardare avanti


di Alberto Faustini


Giorgio Pasquali era Bolzano. Era una precisa idea di Alto Adige e di regione. Era questa comunità. Era il dialogo, l’entusiasmo, la voglia di guardare a questa terra con il desiderio di unire, di capire, di condividere. Questa città l’aveva in un certo senso scoperto e lanciato, e lui l’aveva subito amata e guidata, con un’intensità, un entusiasmo, una lucidità e una visione che ancora sono palpabili per chi sa leggere nella filigrana del tempo e delle scelte.

Era un uomo che sapeva ascoltare, che sapeva mediare, che sapeva decidere e anche osare. Era così ai vertici dell’amministrazione - giovane sindaco pieno di voglia di portare Bolzano negli anni del boom economico -, ed era così in Provincia e in Regione, dove ha governato settori importanti in un continuo dialogo con Magnago, di cui era stato il vicepresidente italiano, e con tutte le altre componenti di quelle maggioranze talvolta granitiche solo all’apparenza.

Pasquali era così, da uomo di fede, anche nel confronto continuo con la Chiesa, in particolare nella stagione del vescovo Gargitter, con il quale costruì un dialogo speciale, che lui stesso definiva irripetibile. Ed era così anche con i cugini trentini, che lui ha sempre considerato insostituibili compagni di viaggio nella costruzione di un indispensabile - e in fondo mai realizzato del tutto - quadro regionale.

Era così nel partito: quella Democrazia cristiana che oggi appartiene ai libri di storia, ma che allora, con tutte le sue contraddizioni, era la fabbrica della classe dirigente, non solo sul fronte della politica o delle istituzioni. Ed era così anche nella sua amata famiglia: palestra di dialogo, di confronto e di ascolto senza eguali. Era malato da tempo. Ma anche venerdì era in ufficio: nella mansarda di piazza Walther dalla quale ha visto cambiare la “sua” città e dalla quale osservava le adorate montagne, che fino a poco tempo fa percorreva in lungo e in largo, da grande camminatore. Non ha mai smesso di lavorare, di «far funzionare il cervello», come amava dire lui.

E ha ricoperto, negli anni, numerosi incarichi. Fino a qualche mese fa ne ha conservato uno al quale era particolarmente affezionato: la presidenza della Seta, la società editrice di questo giornale. In un’ideale classifica degli affetti professionali, pur avendo messo lui il cuore in ognuna delle tante imprese che l’hanno visto protagonista, la presidenza del giornale rischiava di soccombere solo di fronte alla presidenza della Haydn, orchestra che aveva fondato, che aveva guidato e che rappresentava e ancora rappresenta uno dei rari e illuminati simboli di una regione che sa fare sintesi, che sa valorizzare i talenti, che sa unire debolezze per farne forza, che sa guardare al di là del particolare per spaziare in qualcosa di più ampio.

L’orchestra Haydn è un po’ una metafora del suo modo di guardare le cose: con la volontà di unire, con un occhio alla grande cultura, con il desiderio di alzare sempre l’asticella dell’ambizione, con la voglia di mettere insieme persone, formazioni e storie diverse, in un disegno aperto, insieme locale e internazionale. Eravamo amici - e uso questa parola con il garbo che le avrebbe attribuito Giorgio Pasquali - da tempo.

Lo avevo conosciuto negli anni Ottanta, quando m’ero occupato - come cronista - della “collina Pasquali” (la montagnola a sud della città sorta sulla vecchia discarica), ma il nostro rapporto si è fatto molto più intenso in questi ultimi anni, quando, sempre prodigo di consigli, mi incontrava per parlare del giornale, che è poi la prolunga di carta e d’inchiostro di questa città e di questo territorio.

L’ho rivisto lunedì, insieme alla sua speciale famiglia: ancora lucido, ancora felice di un incontro, ancora desideroso di rimettersi a lavorare a qualche progetto. Non ne ha avuto il tempo. Ma, prima di ieri, ha avuto tanto tempo: per costruire - da buon ingegnere - questa realtà che a noi oggi sembra scontata, ma che è il frutto di una complessa tessitura che porta la firma di uomini, come Pasquali, che ormai non ci sono più: silenziosi protagonisti di un disegno che ha raccolto l’autonomia dei conflitti per farne l’autonomia della maturità e della convivenza reale e pacifica.

Compagno di cordata dei “costruttori” del Trentino Alto Adige di ieri e di oggi, protagonisti anche di stagioni difficili e dolorose, sempre capaci di iniettare equilibrio in ogni ragionamento, in ogni programma, Pasquali è riuscito nella non facile impresa di cercare strenuamente il dialogo, conservando al contempo l’originalità e anche l’indipendenza del proprio pensiero.

Bolzano e l’Alto Adige gli devono molto. Perché senza uomini come Pasquali non sarebbero quelli di oggi. Io, nel mio piccolo, mi porto via molti preziosi consigli e il suo ultimo sguardo: delicato e forte insieme, ironico e sottile, autorevole e libero.













Altre notizie

l’editoriale

L’Alto Adige di oggi e di domani

Il nuovo direttore del quotidiano "Alto Adige" saluta i lettori con questo intervento, oggi pubblicato in prima pagina (foto DLife)


di Mirco Marchiodi
la promessa

Kompatscher: «Adesso basta: stop a case costruite per i turisti» 

L’emergenza abitativa. La risposta del governatore ai sindacati: «Gli alloggi nelle nuove aree convenzionate solo per residenti stabili». I rappresentanti dei lavoratori: «La zona di ponte Roma resti produttiva». Il sindaco: «Bisogna ampliarsi nei centri limitrofi»


antonella mattioli

Attualità