Il mondo immobile di Carlo Levi


Marco Pontoni


Ogni tanto in questa rubrica propongo dei classici italiani. Qualche settimana fa era toccato a “Lessico familiare” di Natalia Ginzburg, testo fondativo per chiunque voglia cimentarsi con la scrittura autobiografica, oggi tanto amata e tanto venduta in libreria. Questa volta tocca ad un memoir, “Cristo si è fermato a Eboli”, di Carlo Levi. Si tratta di un libro scritto nel 1944, e pubblicato l’anno dopo, che racconta un periodo del passato del protagonista, giovane intellettuale, medico e pittore torinese, di origini ebraiche, che trascorse poco meno di un anno al confino, fra il 1935 e il 36, in un paesino dell’allora Lucania, oggi Basilicata, Aliano (diventato nel romanzo Gagliano).

Levi non scontò tutta la pena che gli era stata inflitta; graziato dal Fascismo nell’euforia che seguì alla fine della guerra d’Etiopia, riparò in Francia (che aveva già frequentato in passato) per poi tornare in Italia e partecipare alle vicende della ricostruzione, anche morale, del Paese, cosa che fece egregiamente con quest’opera, che ho evitato a lungo di affrontare perché odorava di lettura scolastica. Sbagliavo. Il memoriale di Levi è più avvincente, e meglio scritto, di molti resoconti di viaggio e testi di antropologia culturale che ho letto nella mia vita. L’autore racconta della scoperta delle campagne del Meridione d’Italia, un mondo per lui totalmente sconosciuto, “altro”.

Con la sua miseria, la sua rassegnazione, certo, e con il suo feroce classismo. Levi stesso, pur essendo di fatto un nemico dell’ordine sociale, finisce con il frequentare quasi esclusivamente la “cupola” del paese, la ristretta cerchia dei notabili, fra cui i due inetti “medicaciucci” locali. Ma le sue attenzioni vanno altrove. E questo altrove è, per il lettore, affascinante. Parliamo del mondo dei contadini, che per certi versi gli rimane precluso (è pur sempre al confino, ogni suo movimento deve essere autorizzato), ma che Levi riesce comunque a descrivere in pagine memorabili. Un mondo immobile, dominato dai bisogni materiali (l’acqua, le medicine), refrattario ai miti del progresso di qualsivoglia specie. Al tempo stesso, un mondo popolato di creature e valori diversi rispetto a quelli dominanti.

Creature magiche, ad esempio, spesso demoniache. Miti gelosamente coltivati, come quelli dei briganti, nonostante le guerre condotte contro il brigantaggio siano finite da un pezzo. Fra le pagine indimenticabili anche quelle dedicate a Matera, descritta come un girone infernale. Del resto, prima di diventare un apprezzato set cinematografico e una meta turistica, è stata “la vergogna d’Italia”.

Quale soluzione immaginare per queste realtà, peraltro non circoscrivibili al solo Meridione contadino? Che cosa fare per queste popolazioni apparentemente “senza storia” (salvo quando la Storia viene a bussare alla loro porta, magari per spedirle al fronte?). Con intelligenza e capacità prospettiche non comuni lo scrittore spezza una lancia in favore del decentramento e dell’autonomia. Idee ancora lontanissime dal sentire degli italiani, appena usciti dal clima ammorbante del nazionalismo fascista. Levi mantenne un forte legame con Aliano, dove ha voluto essere sepolto, dopo la morte, nel 1975.

 













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