Il mistero dei 4 anelli e il cadavere del pilota americano

La storia. L’ex comandante della stazione dei Carabinieri di Sarentino racconta come riuscì a trovare dopo 75 anni i resti del tenente Lowell abbattuto il 20 ottobre del 1944. Una SS aveva mozzato le quattro dita della mano destra per rubare i quattro anelli. Il maresciallo Giampaolo Clerico ha risolto il caso dopo 75 anni, e ritrovato anche gli anelli. «Quelle ossa mi chiamavano»


Luca Fregona


Bolzano. Un numero di matricola, un frammento di lamiera, quattro anelli, un scheletro in una buca alta due spanne. Un segreto custodito per 75 anni. Questa storia non si può spiegare in termini solo razionali. Quelle ossa volevano essere trovate. Hanno disperatamente cercato di farsi trovare. Per anni e anni. Chiamavano, chiamavano, chiamavano, ma nessuno rispondeva. Nessuno voleva sentire. Fino a quando un uomo, un maresciallo dei carabinieri, non si è messo ad ascoltare la montagna, il bosco, gli alberi, il vento, la terra. E ha risolto il caso.

Giampaolo Clerico è stato il comandante della Stazione di Sarentino per dodici anni. Ha un curriculum da paura: missioni di pace in Kossovo e nei Balacani, operazioni internazionali di lotta agli stupefacenti tra la Turchia e l’Italia. Un carabiniere dal fiuto micidiale. Quattro lingue parlate come l’italiano. Quando è arrivato, lui veneto, in Alto Adige, ha preso in un battibaleno il patentino A, ha imparato il dialetto di Sarentino come fosse nato lì. La lingua è stata la chiave per entrare in una comunità solo apparentemente chiusa. E risolvere un “cold case” che in Paese si trascinava come una nube velenosa dal 20 ottobre del 1944, quando tre caccia P–38 americani di scorta a 71 bombardieri diretti in Germania, vennero abbattuti dalla Flak (l’antiaerea tedesca) appostata sul Renon.

Si schiantarono sopra Sarentino in una zona impervia. Uno solo dei tre piloti si salvò, il tenente Olson. Catturato dai contadini con le gambe spezzate, venne consegnato ai soldati tedeschi e spedito in un lager. Sopravvisse alla guerra. Il secondo pilota, il tenente Wisner fu seppellito nel bosco dalla gente del paese. Il suo corpo è stato recuperato nell’agosto 2000 da un’unità specializzata dell’esercito americano grazie al lavoro di ricerca incessante di Paolo Cagnan, all’epoca giornalista dell’Alto Adige.

Restava il mistero del terzo pilota, il sottotenente Lowell Sawyer Twedt. Dov’erano i resti del suo aereo, e dove il corpo?

Un nuvola velenosa (impestata di collaborazionismo colpevole, omertà, terrore, delazione), aveva custodito il segreto dagli anni dell’occupazione tedesca. Insieme a quattro preziosi anelli frutto ignobile del vilipendio di un cadavere. Tutto fermo, taciuto e immobile per 75 anni. Fino a quando non è arrivato il momento di chiudere i conti col passato. E chiedere, in qualche modo, perdono. Una storia che Clerico racconta con grande passione in un libro, “Riportatelo a casa”, che uscirà tra qualche mese per la casa editrice Athesia.

Allora Clerico, da dove cominciamo?

Dal 2018 quando il Comune e alcuni appassionati dell’associazione storica di Sarentino che volevano a tutti i costi trovare i resti di Lowell mi invitano a una riunione operativa. Avevano rintracciato due fratelli, testimoni oculari, Florian e Alois Thaler, che all’epoca dei fatti, nel 1944, avevano sei e sette anni.

Cosa raccontarono?

Dettagli molto precisi. Avevano visto precipitare il caccia di Lowell a monte del loro maso, sopra la frazione di Sonvigo, in una zona isolata a 1800 metri di quota. Il caccia era in fiamme, il pilota era rimasto agganciato con il paracadute alla carlinga. Era stato risucchiato mentre tentava di saltare fuori. Lo videro provare inutilmente di tagliare le funi del paracadute per aprire la vela d’emergenza e staccarsi dall’aereo. Non fece in tempo. Il caccia si schiantò, avvolto in una nube di fumo, su un pendio ripido di bosco e roccia.

Poi cosa accadde?

Avvisarono il padre, lo convinsero a salire in alto per vedere se il pilota fosse vivo e soccorrerlo. Quando arrivarono sul posto, la scena era orribile. Il velivolo distrutto ancora in fiamme. Detriti sparsi ovunque nel raggio di trecento metri...

E Lowell?

Ancora agganciato alla carlinga. Il corpo stava bruciando. Il padre dei bambini soffocò subito le fiamme. Lowell non dava segni di vita. Gli mise due dita sotto il collo per testare il battito. Era morto.

Cosa fecero?

Lo lasciarono lì. Per due settimane gli abitanti del posto salirono per recuperare ferro, bulloni e lamiere, il paracadute per farne camicie e lenzuola. In pochi giorni l’aereo sparì. In tempo di guerra non si andava per il sottile. Tutto poteva servire per sopravvivere.

E il corpo?

Si stava decomponendo. Dopo una decina di giorni, l’odore era così nauseante, che il padre dei bambini decise di seppellirlo sul posto. Il terreno era già indurito per il freddo. Scavarono una buca alta appena venti centimetri. Sopra ci misero delle pietre per evitare che gli animali scavassero per mangiarselo. Poi dissero una preghiera, convinti che la storia finisse lì.

Invece?

Invece qualcuno aveva avvertito il comando tedesco che dei paesani avevano trovato e seppellito uno dei piloti americani. Un gruppo di SS con a capo un ufficiale altoatesino ordinarono ai Thaler di portarli sul posto.

Cosa cercavano?

Volevano risalire al nome, al grado, vedere se addosso portasse degli ordini, delle carte....

Quindi lo fanno disseppellire...

Sì. Tirano fuori il corpo. L’odore è terribile. Le larve hanno già mangiato gli occhi e le parti molli. Le SS di scorta vomitano tutte. Tutte tranne una...

L’ufficiale...

Già. Vede che Lowell porta quattro anelli, uno per dito, alla mano destra. Prova a estrarli, ma le dita sono gonfie e non ci riesce. Tira fuori la baionetta. Con un colpo secco taglia le quattro dita. Una mutilazione orribile e blasfema. Afferra gli anelli e se li ficca in tasca. I Thaler sono inorriditi ma quel tizio, oltre a essere un ufficiale, è pure un sudtirolese. Finito questo scempio, i tedeschi se ne vanno. I Thaler risistemano il corpo nella buca. Rimettono le pietre, sistemano una croce.

Passano molti inverni. Neve, bufere, vento. La croce sparisce, così come la memoria di quei giorni seppellita dall’omertà...

Fino a quando non rispunta il racconto dei due fratelli, che indicano il posto dove cercare.

E arriviamo alla primavera del 2019...

Sì. Teniamo una riunione operativa con una rappresentante dell’ambasciata americana e un generale dell’unità specializzata dell’esercito americano che ha il compito di recuperare i corpi dei soldati dispersi ovunque gli Stati Uniti abbiano combattuto dalla seconda guerra mondiale in poi.

E cosa avete deciso?

Gli americani danno l’ok per una prima ricognizione che viene fissata per l’estate. Se si troverà una prova che proprio lì, dove sostengono i Tahler, è precipitato il caccia di Lowell, si procederà in un secondo momento alla ricerca dei resti che prevede l’intervento di una squadra specializzata.

La ricognizione come va a finire?

Iniziamo il 7 agosto 2018. Saliamo con gli americani: antropologi forensi, artificieri con il metal detector, tecnici dell’aviazione... La zona viene divisa in quadranti e si procede. Per giorni giriamo a vuoto. Gli americani cercano un frammento dell’aereo con il numero di matricola. Ma niente... Troviamo di tutto, pezzetti di lamiera, viti, schegge, persino le mostrine. Ma non quel maledetto numero di matricola... Senza identificare il velivolo, non avrebbero mai dato il via alla ricerca dei resti.

Arriviamo al penultimo giorno di ricerca...

Qualcosa mi diceva di uscire dal perimetro fissato dagli americani. Ho sforato di 300 metri a nord e iniziato a battere il bosco palmo a palmo. Dopo qualche ora, l’ho visto mimetizzato nel terreno.

Cosa?

Un frammento di lamiera arrugginito. L’ho girato e...

Il numero di matricola...

Esatto. L’ho portato al capo missione. Col telefono satellitare si sono collegati al Pentagono, hanno verificato il numero. Era del caccia del sottotenente Lowell.

Così gli americani danno il via libera alla seconda fase: la ricerca del corpo.

Viene fissata per l’estate del 2019. Sei settimane a partire da fine luglio. La cosa era estremamente seria e complicata: nel caso del recupero di un cadavere, la scena va congelata e va sempre avvisata l’autorità giudiziaria. Inoltre ci sono dei protocolli internazionali molto rigidi da osservare per il rimpatrio dei resti. Io dovevo essere sempre presente come comandante della stazione di Sarentino. Quella storia ormai mi era entrata dentro. Non pensavo ad altro. Lowell, in un certo senso, mi chiamava...

Come procedono le ricerche?

Gli americani arrivano con un team specializzato del Dipartimento della difesa che fa solo questo: recupera i dispersi. In calendario hanno sei settimane a Sarentino e poi la Cambogia, sulle tracce di un marine ucciso nella guerra del Vietnam. Si divide la zona in quadranti. Gli artificieri passano ogni centimetro con metal detector sofisticatissimi. Per giorni niente di niente. Avevo però risentito i fratelli Thaler. Mi diedero un particolare fondamentale: ricordavano che il corpo era stato seppellito sotto due grandi alberi, e che i tronchi erano in parte bruciati per l’impatto tremendo dell’aereo. Cercai quegli alberi.

E...

Trovai due grossi tronchi con tracce di bruciatura. Tutto combaciava. Lo dissi alla capo missione, Kim Maeyama. Lei scosse la testa. Si trovavano su un settore che avevano già controllato. Eravamo agli sgoccioli della missione. Non voleva perdere tempo per una falsa pista. Ma io insistetti. Insistetti così tanto che alla fine mi assegnò un artificiere col metal detector per un ennesimo tentativo...

Lowell la stava chiamando...

Sì. Raggiungiamo i due tronchi mozzati, giganteschi, enormi, con le radici forti che spuntano dalla terra. L’artificiere comincia il suo lavoro. Il metal detector impazzisce. Il cuore mi batte a mille. È Lowell, ne sono certo.

Come procedete?

Arrivano gli specialisti della riesumazione. Scavano pochi centimetri, e... un urlo. BONES! BONES! OSSA! Troviamo le ossa delle quattro dita. Le quattro dita amputate dalla SS.

Pazzesco.

Ho ancora i brividi. Scavano ancora e trovano il cranio. A quel punto blocco tutto, informo il magistrato di turno che ci autorizza a proseguire. I tecnici americani con grande delicatezza liberano dalla terra tutto lo scheletro centimetro per centimetro. E la scena è incredibile.

Cioè?

Le radici dell’albero avevano avvolto lo scheletro come a proteggerlo. Ci avevano pensato loro, gli alberi, a custodire Lowell in un sudario affettuoso e tenerlo al sicuro. E adesso, sembrava che non ce lo volessero restituire. Lo trattenevano. Ci siamo messi intorno, noi carabinieri e i soldati americani, e abbiamo pianto e pregato. Ho tirato fuori la tromba e ho suonato “Il silenzio”. Poi la montagna ci ha permesso di recuperare le ossa. Il giorno dopo dalla Germania è arrivato un caccia P-38. Ha sorvolato la zona per venti minuti in onore del sottotenente Lowell.

Ma non era ancora finita...

No, da quando avevo saputo la storia dei quattro anelli, avevo condotto una mia indagine personale. Gli americani erano convinti che fossero spariti chissà dove in Germania, ma io sapevo che erano ancora qui, in Alto Adige. Poco prima che il team Usa ripartisse, si è presentata in stazione una persona con una scatola di latta verde.

Dentro c’erano i quattro anelli?

Sì. L’ufficiale tedesco aveva tentato di camuffarne maldestramente uno, incastonando il teschio delle SS sull’ovale. Quegli anelli erano rimasti per 75 anni chiusi in un cassetto.

Chi glieli consegnò voleva in qualche modo chiedere scusa?

Fu una specie di atto di redenzione. Va detto che in tutta questa vicenda il comportamento della comunità di Sarentino è stato esemplare. Tutti hanno collaborato. Sapevano che era la cosa giusta.

Dove riposa il tenente Lowell?

Nel cimitero memoriale dei veterani del Nord Nevada, a Fernley, avvolto nella bandiera a stelle strisce e con gli onori militari. Riuscii a espletare a tempo di record le scartoffie burocratiche per affidare i resti alla missione prima della partenza. Diedi loro anche i quattro anelli, che poi furono consegnati al figlio

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