«La Chiesa distingue la persona dall’atto»

BOLZANO. I vertici della Chiesa sono impegnati in una riflessione profonda riguardo al tema dell’omosessualità, anche sotto la spinta di rinnovamento voluta da Papa Francesco. Lo spiega il teologo e...



BOLZANO. I vertici della Chiesa sono impegnati in una riflessione profonda riguardo al tema dell’omosessualità, anche sotto la spinta di rinnovamento voluta da Papa Francesco. Lo spiega il teologo e sacerdote don Paolo Renner per fissare alcuni paletti di riferimento su uno dei temi che in seno alle comunità religiose è tra i più complessi. «Finora - spiega il sacerdote - la Chiesa ha distinto la persona omosessuale dall’atto omosessuale, riconoscendo alla prima tutta la dignità e l’accettazione e criticando fermamente qualsiasi forma di discriminazione; per l’atto invece, è stato utilizzato il termine “disordine”, che è lo stesso a cui fa riferimento don Dino Marcon, ma utilizzando un linguaggio della teologia che ha bisogno di essere spiegato». In ogni caso, afferma Don Renner, le cose sono in corso di cambiamento, «Il Santo Padre ha voluto che si sviluppasse un ragionamento per risolvere questa contraddizione: come si fa ad accettare la persona nella sua interezza se poi si giudicano disordinati i suoi comportamenti?».

La soluzione non è ancora a portata di mano, ma non per questo si può criticare per intero il discorso del direttore dell’Istituto Rainerum, spiega il prelato: «Quando si parla di “disorientamento” non lo si fa per caso, abbiamo visto che nell’età dello sviluppo può capitare che un giovane abbia delle esperienze che rientrano in casi di «omosessualità compulsiva» oppure «omoerotismo», e per questo si convinca di essere omosessuale, ma si tratta solo di periodi di passaggio». Ecco quindi spiegato, secondo il teologo, il ragionamento sull’orientamento del ragazzo, che non sarebbe indirizzato ad un “rientrare sulla retta via”, ma più che altro ad aiutarlo a verificare se quella è veramente la sua natura, eventualità nella quale «devono ricevere una totale accettazione, senza nessuna discriminazione, anzi devono essere sostenuti sia nei rapporti con la famiglia che con i compagni di classe attraverso percorsi educativi sull’argomento».

Sull’introduzione del contratto del “buon cristiano”, don Renner ribadisce le posizioni già espresse dal direttore dell’Istituto Rainerum, «Vale in primis il criterio della libertà di indirizzo dell’attività formativa, e chiedere alle famiglie e agli studenti un’adesione di massima ai principi cui si rifà la scuola non è un’iniziativa sbagliata». Patti chiari e amicizia lunga, in sostanza, chi si iscrive a questo genere di istituto deve sapere, ed è giusto che se ne renda conto fino dall’inizio, che ha delle regole che vanno rispettate.

«Quel contratto, dal punto di vista formale, non credo abbia nessuna valenza legale; ma è giusto che entrambe le parti abbiano delle richieste e delle aspettative da rispettare; non dare nulla per scontato è il modo migliore per non generare confusione». E poi c’è anche la questione della volontà del ragazzo, che non è marginale, afferma don Renner: «Quella firma serve anche a chiedere al giovane il suo impegno personale, a certificare che è la sua volontà quella di partecipare a quel percorso di studi e non solo dei suoi genitori, così se lo studente si dimostra non interessato, si avrà il titolo per domandare alla famiglia perché ha voluto iscriverlo».

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